martedì 30 settembre 2025

ULTIME SUI DINOSAURI: I DINOSAURI CINGUETTAVANO !

 

    Nei film, i dinosauri ruggiscono. Del resto, farebbe paura un T. rex che cinguetta? Eppure forse i versi dei dinosauri erano simili a quelli degli uccelli (che da loro si sono evoluti): lo teorizza uno studio analizzando il fossile di un dinosauro erbivoro vissuto in Cina 163 milioni di anni fa, Pulaosaurus qinglong. Il suo organo vocale ha somiglianze con quelli degli uccelli e di Pinacosaurus grangeri, altro dinosauro di cui nel 2023 si è scoperta la laringe fossile, e che forse aveva vocalizzazioni da uccello. I gruppi misti non sono un'esclusiva dei parlamentari. Anche animali di specie diverse, come gnù e zebre o vari uccelli, possono raggrupparsi. 



    Lo facevano pure i dinosauri? Brian Pickles della University of Reading (Uk) e colleghi hanno scoperto in Canada impronte di almeno 5 individui. Alcune sono probabilmente di ceratopsidi (i dinosauri con corna come i Triceratops). Altre sono diverse, forse di un anchilosauro (i dinosauri corazzati). Ed è possibile che si stessero muovendo insieme, magari per difesa. Non tutti i morsi dei grandi dinosauri carnivori erano uguali. Andre Rowe e Emily Rayfield della University of Bristol hanno analizzato i crani di 18 predatori bipedi e hanno evidenziato la forza dei morsi. Il T. rex aveva un potentissimo morso capace di rompere le ossa. Gli altri colossi - come Giganotosaurus e Allosaurus - avevano invece un morso più debole, adatto a strappare le carni. Spinosaurus, per esempio, aveva un muso specializzato per catturare grandi pesci.



OMICIDI IRRISOLTI: BLACK DAHLIA (1947)

 

Nel gelido mattino del 15 gennaio 1947 due ragazzini scoprirono a Leimert Park, nel sud di Los Angeles, il corpo smembrato di una giovane donna privo di segni di colluttazione nei dintorni. I poliziotti si trovarono di fronte a una scena agghiacciante: il tronco, tagliato in due all’altezza della vita con precisione chirurgica, era stato ripulito del sangue e posizionato con cura su un terreno ghiaioso, mentre gli arti giacevano separati e avvolti in stracci anneriti. L’assenza di impronte utili, la ferocia e la mancanza di un movente apparente spinsero immediatamente l’FBI e la LAPD a considerarla uno dei casi più disturbanti degli ultimi decenni. La vittima, identificata dopo giorni come Elizabeth Short, nata Ruby Katherine Stevens nel 1924 a Boston, era cresciuta in una serie di famiglie affidatarie dopo la prematura scomparsa della madre. Di corporatura esile e dallo sguardo malinconico, si spostò sulla costa occidentale nel 1943 con il sogno di sfondare a Hollywood. Lavorò saltuariamente come segretaria, corista e modella amatoriale, ma senza mai ottenere ruoli di rilievo. 



Nei mesi precedenti al delitto era di passaggio a San Diego per far visita a un presunto fidanzato, ma di quella relazione resta oggi soltanto un nome annotato sui taccuini degli investigatori. L’indagine si trasformò in un’autopsia a cielo aperto: la vittima era stata prima strangolata, poi le era stata recisa la carotide, e il corpo accuratamente svuotato di liquidi, fatto che indicava un sadico affronto più che un omicidio passionale. Furono interrogati centinaia di sospetti, tra cui medici, piccoli criminali e sconosciuti incontrati in club notturni, senza mai arrivare a un indizio definitivo. A offrire un premio di diecimila dollari per informazioni fu lo stesso Sindaco di Los Angeles, mentre J. Edgar Hoover diresse risorse federali per esaminare ogni pista, da fotografie compromettenti a lettere anonime inviate alla stampa. Il soprannome “Black Dahlia”, coniato dai tabloid in omaggio a un film noir allora in voga, contribuì a trasformare il caso in un mito intramontabile. Libri di giornalisti investigativi, pellicole cinematografiche e podcast dedicati hanno mantenuto viva l’attenzione pubblica, rendendo la vicenda emblema della Los Angeles hollywoodiana a cavallo tra realtà e delirio. Ancora oggi, nonostante tecniche forensi avanzate e nuove prove riapparse negli archivi, l’omicidio di Elizabeth Short resta un cold case irrisolto, simbolo di un mistero che continua a inquietare e a ispirare la cultura popolare.



BARBARA STANWYCK (1907-1990)


    Barbara Stanwyck, nata Ruby Catherine Stevens a Brooklyn nel 1907, rimase orfana in tenera età e crebbe in famiglie affidatarie. Dopo aver debuttato come corista nelle Ziegfeld Follies nel 1923, assunse lo pseudonimo all’inizio della carriera teatrale. Lavorò per sei decenni con registi come Frank Capra, Fritz Lang e Billy Wilder, girando 86 film e ricevendo quattro candidature all’Oscar, oltre a tre Emmy e un Golden Globe. Il suo passaggio dal teatro al cinema sonoro avvenne nel 1929 con The Locked Door, seguito da Mexicali Rose e Ladies of Leisure (1930), che consolidò il sodalizio con Capra. Negli anni Trenta fu protagonista di Night Nurse, Baby Face e The Bitter Tea of General Yen, incarnando ruoli spregiudicati tipici del cinema pre-code. Dal dramma popolare di Stella Dallas al brillante screwball di Ball of Fire e The Lady Eve mostrò grande versatilità e realismo scenico. Durante gli anni Quaranta brillò nel film noir Double Indemnity (1944), interpretando la spietata Phyllis Dietrichson, e nel classico natalizio Christmas in Connecticut. Con Martha Ivers e Sorry, Wrong Number ottenne l’ultima nomination agli Oscar e consolidò il suo status di icona del thriller. 



    Negli anni Cinquanta le sue apparizioni cinematografiche diminuirono, ma il carisma proseguì in televisione con The Barbara Stanwyck Show e, soprattutto, il western The Big Valley, che le fruttò due Emmy. Si sposò due volte: con l’attore Frank Fay (1928-1935), da cui adottò un figlio, e poi con Robert Taylor (1939-1951). Ebbe inoltre una relazione intensa con Robert Wagner negli anni Cinquanta. Repubblicana convinta, si oppose al New Deal di Roosevelt e sostenne le inchieste del Comitato per le Attività Antiamericane. Celebre per la gentilezza verso le maestranze e l’impegno sul set, alimentò amicizie durature con star come Gary Cooper e Henry Fonda. Negli ultimi anni ricevette l’Oscar onorario (1982), il Cecil B. DeMille Award (1986) e l’AFI Life Achievement Award (1987). Morì nel 1990 a Santa Monica per insufficienza cardiaca aggravata da broncopneumopatia cronica ostruttiva, fumava da quando era bambina e aveva smesso solo pochi anni prima. Aveva disposto di essere cremata e di spargere le sue ceneri sulle montagne di Lone Pine, suggellando un commiato simbolico ai luoghi dei suoi più celebri western.




215° ANNIVERSARIO DELL'OLEIFICIO ZUCCHI


    Il francobollo dedicato all’Oleificio Zucchi è stato emesso il 10 settembre 2025 ed è inserito nella serie tematica “Le Eccellenze del sistema produttivo e del Made in Italy”. Valore tariffario B (1,30 €) con tiratura di 200 025 esemplari. Bozzettista Matias Hermo, ha concepito una vignetta che riproduce il logo storico dell’azienda di Cremona, fondata nel 1810, affiancato da un’antica macina in pietra delineata da un motivo grafico estratto dal logo attuale. Completano il francobollo la dicitura “Italia” e l’indicazione tariffaria “B”. La stampa, eseguita dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato in rotocalcografia a quattro colori, utilizza carta bianca patinata neutra autoadesiva da 90 g/mq con imbiancante ottico. Il supporto è costituito da carta Kraft monosiliconata da 80 g/mq e l’adesivo è di tipo acrilico ad acqua (20 g/mq da secco). Il formato della vignetta è di 40×30 mm, la tracciatura di 46×37 mm e la dentellatura, realizzata per fustellatura, ha passo 11. Il foglio contiene 45 esemplari più la cimosa con il logo MIMIT monocromatico. La cerimonia si è svolta a Roma presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy, alla presenza di Alessia Zucchi, amministratore delegato, del sottosegretario Fausta Bergamotto e dei vertici di Poste Italiane. 




    L’emissione celebra i 215 anni di attività di un piccolo oleificio artigianale nato nel 1810 e trasformato nel tempo in una società per azioni: nei primi decenni del Novecento l’industrializzazione, nel secondo dopoguerra l’espansione del marchio Zeta e l’ingresso nella grande distribuzione. Negli anni Novanta l’apertura del moderno stabilimento lungo il canale di Cremona ha segnato la svolta verso rispetto ambientale e ricerca, con un forte sviluppo in Italia e all’estero. Con il passaggio alla sesta generazione, negli anni Duemila è stato introdotto il primo disciplinare italiano certificato per la filiera dell’olio extra vergine, realizzata la più grande cantina a temperatura controllata e avviato un sistema logistico con scalo ferroviario interno. La recente trasformazione in società benefit testimonia l’impegno a creare valore per comunità e ambiente. Il bozzetto, unendo il logo storico e la macina in pietra con un tratto grafico moderno, simboleggia l’incessante equilibrio tra radici e innovazione.



domenica 28 settembre 2025

ALIDA VALLI (1921-2006)

 

    Alida Maria Altenburger Freiin, baronessa von Marckenstein und Frauenberg, nacque a Pola il 31 maggio 1921 da madre istriana e padre trentino con ascendenze tirolesi. A otto anni si trasferì sul lago di Como, dove crebbe senza più fare ritorno nella città natale ma serbando un profondo rimpianto. Nel 1936, scegliendo a caso da un elenco telefonico il cognome d’arte “Valli”, debuttò giovanissima al Centro sperimentale di cinematografia ed esordì sul grande schermo interpretando ruoli di protagonista in commedie leggere che la resero celebre nel cinema fascista. Tra il 1940 e il 1943 lavorò con Mario Mattoli a pellicole che conquistarono il pubblico, mentre per Mario Soldati e Carmine Gallone passò a ruoli drammatici: fu Luisa in Piccolo mondo antico, vincendo un premio speciale al Festival di Venezia, e Manon in Manon Lescaut. Nell’autunno 1943 rifiutò di trasferirsi al Cinevillaggio della Repubblica di Salò, sottraendosi a film di propaganda e nascondendosi a Roma grazie all’aiuto di Leonor Fini e Luciana d’Avack. Con il suo primo figlio nato nel 1947, ottenne il Nastro d’argento per Eugenia Grandet e, sotto contratto con David O. Selznick, approdò in America.



    Lavorò accanto a Gregory Peck in Il caso Paradine di Alfred Hitchcock, a Frank Sinatra ne Il miracolo delle campane e a Joseph Cotten e Orson Welles ne Il terzo uomo. Negli anni Cinquanta tornò in Italia e lasciò un segno indelebile in Senso di Luchino Visconti. Dopo lo scandalo Montesi si ritirò, ma nel 1957 rientrò in scena con Il grido di Antonioni e La grande strada azzurra di Pontecorvo. Collaborò con Pasolini in Edipo re, con Bertolucci in Strategia del ragno e Novecento, con Argento in Suspiria e Inferno. Premi come il David di Donatello alla carriera (1991) e il Leone d’oro alla carriera a Venezia (1997) riconobbero la sua versatilità. Negli ultimi anni, assistita dalla legge Bacchelli, rifiutò la cittadinanza onoraria di Pola, dichiarando di essere e restare italiana. Morì a Roma il 22 aprile 2006; il suo funerale si tenne in Campidoglio e fu sepolta al Verano. Rimangono una via a Roma, il cinema di Pola a lei dedicato e il documentario Alida (2020), che ne celebra l’eredità e il fascino mai sopito.




ETERNALE O MOLE LITTORIA A ROMA (1924)


    La storia del progetto della Mole Littoria affonda le radici nella Milano degli anni Venti, quando Mario Palanti, architetto di fama internazionale grazie alle sue opere in Sud America come il Palacio Barolo di Buenos Aires, concepì l’idea di un monumento verticale capace di incarnare il dinamismo e l’ardire del nuovo regime. Tornato in Italia, presentò nel 1924 al Ministero dei Lavori Pubblici modelli in gesso e disegni tecnici per una torre alta 330 metri e articolata in 88 piani, destinati a concentrare al loro interno uffici governativi, sedi parlamentari, hotel e spazi pubblici. Mussolini accolse con entusiasmo la proposta, chiedendo di sostituire il titolo originario L’Eternale con Mole Littoria e apponendo la dedica autografa “Per la Mole Littoria, Alalà”. Palanti elencò un programma funzionale ambizioso: vaste sale per le adunanze del Gran Consiglio, una biblioteca di oltre centomila volumi, una galleria d’arte, impianti sportivi coperti e persino un osservatorio astronomico protetto da una cupola rotante. 



    Il basamento orizzontale si componeva di un pronao ellittico monumentale, mentre la torre centrale emergeva fra volumi minori, il tutto rivestito in marmo bianco di Carrara per riflettere la luce e trasformarsi in un faro simbolico visibile a chilometri di distanza. Nel 1924 il progetto venne esposto nel Salone della Vittoria di Palazzo Chigi, suscitando reazioni contrastanti: il New York Times ne esaltò l’audacia, mentre la stampa tedesca lo definì un «eccesso di magniloquenza futurista». Ben presto emersero però criticità tecniche e finanziarie. Gli ingegneri avvertirono ostacoli alla ventilazione, alla fondazione e al sollevamento dei materiali, mentre Marcello Piacentini sollevò dubbi sull’impatto urbanistico di un colosso di quelle proporzioni. Le risorse del regime vennero dirottate su opere percepite come più urgenti, e la Mole Littoria rimase confinata alla dimensione teorica. Del sogno di Palanti sopravvivono oggi solo i disegni e alcune tavole pubblicate nel volume del 1926: testimonianze di un momento in cui l’architettura veniva elevata a strumento di propaganda e di eternazione di un potere in continua ascesa.




ANITA PAGE (1910-2008)


    Anita Evelyn Pomares nacque il 4 agosto 1910 a Flushing, Queens, da Marino Leo Pomares, di origini cubane e cresciuto a Brooklyn, e da Maude Evelyn Mullane. Cresciuta insieme al fratello Marino Jr., divenuto in seguito il suo istruttore di ginnastica, Anita vide la madre trasformarsi nella sua segretaria e il padre nel suo autista. Il cognome materno tradiva origini irlandesi, mentre il bisnonno paterno era stato console a El Salvador e la bisnonna di stirpe castigliana e francese. Fin da piccola manifestò una bellezza che le valsero il soprannome di “blonde, blue-eyed Latin” negli anni Venti. Dopo aver attirato l’attenzione di un agente grazie all’appoggio dell’amica Betty Bronson, Anita superò un provino per la Paramount ma scelse di firmare con la MGM, allora tempio delle dive femminili. Debuttò nel 1928 in Telling the World al fianco di William Haines, ma il vero successo arrivò con Our Dancing Daughters, accanto a Joan Crawford, che aprì la strada a Our Modern Maidens e Our Blushing Brides. Protagonista anche de The Broadway Melody, vincitore dell’Oscar come miglior film, Page fu uno dei volti più richiesti del muto, ammirata per le sue fotogeniche pose create con George Hurrell.



    Sebbene abbia accettato il passaggio al sonoro, nutriva nostalgia per il muto, lamentando l’interruzione della musica di scena quando bisognava recitare. Al culmine della fama ricevette più fan mail esclusa Greta Garbo e perfino proposte di nozze epistolari da Benito Mussolini, ma nel 1933, rifiutata una richiesta di aumento, decise di ritirarsi a soli 23 anni. Dopo un’unica apparizione nel 1936 e un matrimonio annullato con il compositore Nacio Herb Brown, nel 1937 sposò il tenente di marina Herschel A. House, con cui si trasferì a Coronado e ebbe due figlie, Linda e Sandra. Tornò sullo schermo nel 1961 in The Runaway ma abbandonò ancora la scena, per riemergere trentacinque anni dopo in una serie di horror a basso budget. Ultima testimone vivente della prima cerimonia degli Academy Awards, concesse numerose interviste sulla stagione del cinema muto. Morì serenamente nel sonno il 6 settembre 2008 a Van Nuys, Los Angeles, all’età di 98 anni. È sepolta al Holy Cross Cemetery di San Diego e dal 1960 vanta una stella sulla Hollywood Walk of Fame per il suo contributo all’industria cinematografica.



giovedì 25 settembre 2025

I BATTERI NELLA RITIRATA DI NAPOLEONE DALLA RUSSIA (1812)


    Una delle lezioni della storia è che invadere le fredde distese russe non è una passeggiata: nella ritirata di Napoleone dalla Russia, nella disastrosa campagna del 1812, circa 300.000 soldati morirono (sopra, in un quadro di Ary Scheffer) per fame, freddo e malattie. Si ritiene - sulla base dei sintomi descritti e di analisi che queste ultime fossero soprattutto tifo esantematico e febbre delle trincee, causate da batteri trasmessi dai pidocchi del corpo. 



    Ora un'analisi guidata da Nicolás Rascovan dell'Istituto Pasteur di Parigi, condotta cercando Dna di patogeni sui denti di soldati sepolti in Lituania, ha identificato altre malattie. Non sono stati trovati i batteri Rickettsia prowazekii (l'agente del tifo) e Bartonella quintana (la causa della febbre delle trincee); invece sono emersi Salmonella enterica, che causa la febbre paratifoide, e Borrellia recurrentis, responsabile della febbre ricorrente. Con debilitazione e altre patologie, tali malattie possono aver contribuito alla tragedia dei soldati di Napoleone.



STORIA DI GAND (BELGIO)

 

    Le prime tracce di insediamento a Gand risalgono al I secolo, quando il nome Ganda, dal celtico “confluente”, indicava la posizione tra Leie e Schelda. Queste terre paludose ospitavano piccoli villaggi che con la caduta dell’Impero romano passarono ai Franchi Sali, i cui monaci introdussero il dialetto olandese arcaico. All’inizio del VII secolo Sant’Amando fondò le abbazie di San Pietro (625) e di San Bavone (650), attorno alle quali si raccolsero i primi nuclei urbani. Tra l’851 e l’883 i Vichinghi razziarono la regione finché, nell’autunno dell’891, l’esercito del re franco Arnolfo di Carinzia respinse definitivamente gli invasori. Nei decenni successivi, Arnolfo I di Fiandra edificò un castello in pietra sul promontorio fluviale, dando origine al borgo di Oudburg, fulcro dell’originaria città di Gand. A partire dall’anno 1000, la canalizzazione di Leie e Schelda trasformò la faticosa palude in una fonte di energia idraulica: mulini, bacini di macerazione del lino e scarichi industriali resero possibile l’industria tessile. Basata su lino, lana locale e importazioni d’oltremanica, l’economia fiorì senza precedenti, tanto che tra il XIV e il XVI secolo Gand superò Londra, Colonia e Mosca per numero di abitanti, raggiungendo i 60 000 cittadini e divenendo la più popolosa dei Paesi Bassi dopo Parigi. 



    Le fortune politiche si intrecciarono con aspre lotte civili: nel 1338 i tessitori, guidati da Jan van Artevelde e appoggiati da Edoardo III d’Inghilterra, liberarono Gand dall’influenza francese, e Artevelde governò fino al 1345. Nel 1385 i duchi di Borgogna assunsero il controllo, trasformando Gand in corte itinerante: Filippo il Buono e Giovanni Senza Paura vi tennero importanti consigli, e Maria di Borgogna, sposando Massimiliano d’Asburgo nel 1477, mantenne ampi privilegi cittadini. Nel 1500 Carlo V nacque a Gand e, divenuto imperatore, evocava la città nel celebre gioco di parole “Je mettrai Paris dans mon Gant. Il XVI secolo vide l’affermazione della Riforma con conflitti tra calvinisti e forze spagnole, culminati nel 1584 con la riconquista da parte di Alessandro Farnese e la fuga di migliaia di protestanti. La concorrenza italiana e inglese frantumò l’industria laniera, mentre le truppe di Luigi XIV occuparono la città nel 1678. Con Napoleone divenne capoluogo del Dipartimento della Schelda, per passare poi al Regno Unito dei Paesi Bassi e infine al Belgio. Nel XIX secolo la rete di canali verso il Mare del Nord e l’introduzione di macchinari tessili rilanciarono Gand, che si affermò come centro industriale e universitario di primo piano nell’Europa moderna.




120° ANNIVERSARIO DELL'AMARENA FABBRI

 

    Emesso il 10 settembre 2025, il francobollo dedicato a Amarena Fabbri appartiene alla serie tematica Le Eccellenze del sistema produttivo e del Made in Italy. Recante il valore della tariffa B (1,30 €) e tirato in 200 025 esemplari, presenta in vignetta il celebre vaso in ceramica bianco e blu circondato da amarene e sormontato dal logo aziendale. Disegnato dalla bozzettista Emanuela L’Abate, è stampato dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. con tecnica rotocalcografica e impiega cinque colori. La carta è bianca, patinata neutra, autoadesiva, con imbiancante ottico (grammatura 90 g/mq), affiancata da un supporto Kraft monosiliconato da 80 g/mq. L’adesivo acrilico ad acqua asciutto a 20 g/mq garantisce tenuta e facilità di applicazione. Il formato carta e stampa misura 30×40 mm, con tracciatura a 37×46 mm, mentre la dentellatura a 11 punti è ottenuta per fustellatura. Il foglio di emissione contiene 45 francobolli affiancati dal logo monocromatico del Ministero delle Imprese e del Made in Italy sulla cimosa. 



    La scelta di celebrare Amarena Fabbri attraverso il mezzo filatelico sancisce il valore culturale e imprenditoriale di un brand che, dal 1905, ha saputo coniugare artigianalità e innovazione. Il francobollo è stato presentato a Roma presso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy alla presenza del Sottosegretario Fausta Bergamotto, confermando la centralità delle imprese familiari nel patrimonio identitario nazionale. L’iconografia del vaso, già inserita nel 2022 nel Registro dei Marchi Storici Italiani, è divenuta emblema riconosciuto a livello internazionale dopo la mostra al MoMA Design Store di New York nel 2019 e la sentenza che, nel 2020, il Tribunale del Popolo di Shanghai ha emesso per proteggerne forma e decoro. Carlotta Fabbri ha definito il francobollo motivo di profonda emozione e orgoglio familiare, mentre il Sottosegretario Bergamotto ha rilevato come questa emissione sia gesto tangibile di supporto alla crescita, all’innovazione e all’export delle eccellenze italiane.



STORIA DI SESTRI LEVANTE (LIGURIA)

 

    Le prime tracce di popolamento nell’area di Sestri Levante risalgono agli antichi Liguri, in particolare alla tribù dei Tigulli, che sfruttarono la naturale posizione difensiva del promontorio-isola e delle baie circostanti. In età romana il centro, documentato come Segesta Tigulliorum, divenne un nodo commerciale di rilievo per i traffici marittimi e per i collegamenti via terra verso il passo del Bracco e il colle di Velva, consentendo lo scambio di prodotti con le valli Petronio, Graveglia, Vara e la Lunigiana. Con la caduta dell’Impero e le invasioni barbariche si registrò un periodo di crisi, cui seguì in epoca longobarda l’insediamento dei monaci di Bobbio, che introdussero l’agricoltura organizzata e le celle monastiche. Un diploma imperiale del 774 confermò ai monaci i possedimenti lungo la costa, mentre nel 909 il re Berengario cedette parte del territorio alla basilica di San Giovanni di Pavia. Nel XII secolo il borgo si era trasformato in una fortezza naturale: nel 1072 le alleanze dei Malaspina e dei Fieschi sottrassero Sestri all’influenza genovese, ma già nel 1134 la Repubblica di Genova riprese il controllo, erigendo un castello e le mura sulle rupi dominanti i porti in due fasi tra il 1145 e il 1151. Dal 1212 Sestri divenne capoluogo della podesteria nel capitaneato di Chiavari. 



    Nel Trecento la cittadina patì l’assedio del lucchese Castruccio Castracani (1327) e la dominazione viscontea (1365). Un tentativo veneziano nel 1432 fallì, mentre nel Cinquecento e nel Seicento subì incursioni di pirati turchi e saraceni (1542, 1607). Con la Repubblica Ligure di Napoleone entrò nel Dipartimento dell’Entella (1797) e, dopo l’occupazione francese fino al 1814, fu ricondotta al Regno di Sardegna (1815) e quindi al neonato Regno d’Italia dal 1861. L’Ottocento vide la nascita del turismo balneare: nel 1834 Hans Christian Andersen rimase incantato dalla “Baia delle Favole”, dando al borgo fama culturale. Nel 1861 Sestri fu ufficialmente comune del Regno d’Italia, mentre nel 1920 un attentato anarchico durante le celebrazioni del 4 novembre provocò tredici vittime, segnando la memoria collettiva. Dopo le difficoltà belliche, il dopoguerra avviò un’espansione urbanistica e turistica che ha trasformato Sestri Levante in meta rinomata lungo la Riviera di Levante.




martedì 23 settembre 2025

ANITA LOUISE (1915-1970)

 

    Anita Louise, nata Anita Louise Fremault il 9 gennaio 1915 a New York, fu un’attrice americana attiva dal periodo infantile fino al 1970, nota per ruoli da ragazza dolce e aristocratica in film degli anni Trenta. Figlia di Louis e Ann Fremault, studiò alla Professional Children’s School e debuttò a sette anni a Broadway in Peter Ibbetson; il primo film cui partecipò fu Down to the Sea in Ships (1922) e la prima parte accreditata risale al 1924 in The Sixth Commandment. Negli anni Venti- Trenta adottò il solo nome d’arte Anita Louise: la sua carriera cinematografica conobbe l’apice con titoli di prestigio come A Midsummer Night’s Dream e The Story of Louis Pasteur (1935), Anthony Adverse (1936), Marie Antoinette (1938) e The Little Princess (1939), che consolidarono la sua immagine di donna aggraziata e di rango spesso impersonando principesse, dame o figure morali. Riconosciuta come WAMPAS Baby Star, fu anche nota per la vita mondana e per feste frequentate dall’elite hollywoodiana. 



    Con l’avvento degli anni Quaranta i ruoli principali diminuirono; interpretò comunque numerosi film di secondo piano tra cui Casanova Brown (1944), Nine Girls (1944), The Bandit of Sherwood Forest (1946) e Blondie’s Big Moment (1947). Negli anni Cinquanta la televisione le riaprì opportunità: fu protagonista della serie My Friend Flicka (1956–57) nel ruolo di Nell McLaughlin per 39 episodi, condusse programmi come Theater Time e sostituì temporaneamente Loretta Young in The Loretta Young Show. Sposò il produttore Buddy Adler nel 1940, con cui ebbe due figli; Adler morì nel 1960 e Anita si risposò con Henry Berger nel 1962. Concluse la carriera con apparizioni televisive fino al 1970; morì il 25 aprile 1970 a Los Angeles per un ictus e fu sepolta al Forest Lawn Memorial Park di Glendale. Ha una stella sulla Hollywood Walk of Fame e fu attiva politicamente come repubblicana, sostenendo Dwight Eisenhower nel 1952.



LANCIA ASTURA (1931-1939)

 

    La Lancia Astura, prodotta dalla Lancia tra il 1931 e il 1939 in 2.912 esemplari, è una berlina di fascia alta nata per affiancare l’Artena e sostituire la Lambda; montava un motore V8 corto inizialmente di 2.606 cm³ e 72 CV, poi portato a 2.973 cm³ e 82 CV nelle serie successive, con soluzioni tecniche avanzate come testata in due pezzi, albero a camme centrale e lubrificazione forzata con filtro autopulente, il tutto montato su un telaio tradizionale a longheroni con traversa e rinforzo a X; la prima serie debuttò al Salone di Parigi 1931, la produzione proseguì con quattro serie che introdussero varianti di passo (corto e lungo), miglioramenti ai freni (servofreno Dewandre e poi freni idraulici), cambiamenti estetici al radiatore e allestimenti sempre più lussuosi fino a un passo unico molto lungo nella quarta serie che sostituì la Dilambda.



    La Astura era leggera per la categoria (autotelaio circa 960–1.050 kg, berlina intorno a 1.250 kg), raggiungeva punte sui 125–130 km/h e consumava mediamente 15–16 l/100 km; disponibile come telaio o berlina 4 luci e 6 luci, divenne anche una base molto apprezzata per carrozzerie di alto livello realizzate da carrozzieri italiani ed esteri (Pininfarina, Touring, Ghia, Viotti, Stabilimenti Farina, Bertone, Colli, Boneschi, ecc.), con esemplari cabriolet da concorso d’eleganza che hanno ottenuto riconoscimenti anche molti decenni dopo; la Astura partecipò con risultati notevoli a gare d’epoca e a corse come Mille Miglia e Spa, ottenendo vittorie di classe e piazzamenti di rilievo, e alcuni esemplari furono impiegati in competizioni nel dopoguerra grazie a motorizzazioni e preparazioni speciali.




STORIA DEI TRENI ARMATI ITALIANI (1915-1945)

 

    I treni armati della Regia Marina furono convogli ferroviari corazzati e armati impiegati nella difesa costiera durante la Prima e la Seconda guerra mondiale, concepiti per portare sul terreno cannoni navali adattati all’uso ferroviario e fornire fuoco di controbatteria, antinave e antiaereo lungo l’Adriatico e le coste tirreniche. Nati nel 1915 a La Spezia, i primi convogli adottarono carri pianale tipo POZ rinforzati per ospitare pezzi da 120/45 e 152/40 su affusti a piattaforma con scudi tipo “Ammiragliato”; i carri erano dotati di martinetti manuali per stabilizzare l’arma sulla massicciata e non erano blindati. Ogni treno operava su settori di copertura di circa 60 km, stazionando in punti centrali o in galleria per ridurre i tempi d’intervento; la circolazione veniva bloccata all’alba per garantire un binario libero e consentire rapidi spostamenti. 



    L’organizzazione prevedeva treni operativi e logistici accoppiati: il primo portava 3–5 carri arma, portamunizioni e carro comando con telemetro e tavolo previsore, il secondo carrozze alloggio, cucina, officina e depositi. In azione nella Grande Guerra, i treni armati ottennero successi nel contrasto a bombardamenti navali e attacchi di motosiluranti e idrovolanti. Nel secondo conflitto lo sviluppo introdusse torri corazzate per i 120 mm e vari tipi di allestimento (pezzi da 152, 120, 102 e 76 mm), nonché treni specializzati antiaerei; nel 1939 furono mobilitati gruppi MARIMOBIL con basi a Genova/La Spezia e Palermo/Taranto. Dislocati lungo la Liguria, la Sicilia e altre coste, parteciparono alle azioni contro la Francia nel 1940 ma, con il dominio aereo alleato, persero efficacia e molti convogli furono fatti saltare o catturati e smantellati nel 1943, le torri riutilizzate in postazioni fisse sulla Linea Gotica.




domenica 21 settembre 2025

GIULIO NATTA (1903-1979)

 

    Giulio Natta nacque a Porto Maurizio il 26 febbraio 1903 da un magistrato e da Elena Crespi, che ne curò l’educazione. Diplomatosi nel 1919 al liceo classico di Genova, nel 1921 si iscrisse a ingegneria industriale al Politecnico di Milano, dove si laureò in chimica industriale nel 1924 con Giuseppe Bruni. Assistente di Bruni, dal 1925 insegnò chimica analitica e fisica a Milano, distinguendosi per studi in cristallografia e per lo sviluppo di un processo di sintesi del metanolo in collaborazione con Montecatini. Nel 1932 lavorò a Friburgo con Hugo Seemann, perfezionando tecniche diffrattometriche applicate ai polimeri. Tornato in Italia, conseguì la libera docenza e tenne cattedre a Pavia, Roma e Torino prima di approdare nel 1938 al Politecnico di Milano, dove diresse l’Istituto di Chimica industriale. Durante la Seconda guerra mondiale, sfollato nei dintorni di Milano, proseguì ricerche su gomma butadiene, formaldeide e processi di ossosintesi e contribuì alla costruzione del primo impianto italiano per gomme sintetiche a Ferrara. 



    Negli anni Cinquanta studiò la stereochimica, applicando catalizzatori di Ziegler all’etilene e al propilene: l’11 marzo 1954 ottenne il polipropilene isotattico, brevettato con Montecatini come Moplen. Per la messa a punto dei catalizzatori di Ziegler-Natta fu insignito nel dicembre 1963 del premio Nobel per la chimica insieme a Karl Ziegler. In seguito promosse la nascita di un centro di ricerca in chimica macromolecolare al Politecnico di Milano, formando una vasta scuola di ricercatori e dirigenti. Socio di Accademie nazionali e internazionali, collezionò medaglie, onorificenze e lauree honoris causa, fra cui quelle di Torino e Magonza. Diagnosticato con il morbo di Parkinson nel 1956, continuò l’attività fino al 1973. Morì a Bergamo il 2 maggio 1979 ed è ricordato con scuole e premi a lui dedicati.




BATTAGLIA DI CASTELFIDARDO (1860)

 

    La battaglia di Castelfidardo si svolse il 18 settembre 1860 nella cittadina marchigiana omonima, durante il processo di unificazione italiana. Vide contrapposti l’esercito del Regno di Sardegna, guidato dal generale Enrico Cialdini, e le truppe dello Stato Pontificio, comandate dal generale francese Louis de Lamoricière. Il conflitto fu preceduto da un ultimatum inviato il 7 settembre da Camillo Benso di Cavour al Papa, con la richiesta di ritirare le truppe straniere. Al rifiuto, il 11 settembre circa 35.000 soldati piemontesi invasero i territori pontifici: Cialdini avanzò lungo la costa adriatica, mentre il generale Della Rocca penetrò in Umbria. Le truppe papali, colte di sorpresa, si disgregarono rapidamente: alcune si arresero subito, altre si rifugiarono ad Ancona, che cadde il 29 settembre dopo un breve assedio. Lo scontro a Castelfidardo fu segnato da una netta sproporzione numerica: meno di 10.000 soldati papali contro circa 39.000 piemontesi. 



    L’esercito pontificio era composto da volontari provenienti da vari paesi europei, tra cui francesi, belgi, austriaci e irlandesi. I francesi includevano numerosi nobili dell’ovest della Francia, tanto che Cialdini, consultando la lista dei caduti, ironizzò dicendo che sembrava l’elenco degli invitati a un ballo di Luigi XIV. Dopo la battaglia, i battaglioni internazionali si unirono ai Zuavi Pontifici, un reggimento di fanteria che giurò fedeltà a Pio IX per difendere il Papato fino alla fine del Risorgimento. La vittoria sarda ebbe conseguenze decisive: le regioni Marche e Umbria furono annesse al Regno d’Italia, mentre lo Stato Pontificio fu ridotto al solo Lazio. In memoria della battaglia furono dedicati l’unità navale corazzata Castelfidardo e il 26º Battaglione Bersaglieri “Castelfidardo”. I caduti furono numerosi: 62 morti e 184 feriti tra i piemontesi, 88 morti, circa 400 feriti e 600 prigionieri tra i papalini.




80° ANNIVERSARIO DELLA DITTA MOLINARI

 

    Emesso il 10 settembre 2025, il francobollo dedicato alla Ditta Molinari 1945 appartiene alla serie “Le Eccellenze del sistema produttivo e del Made in Italy” con valore di tariffa B (1,30 €) e tiratura complessiva di 200 025 esemplari. La vignetta raffigura il logo ufficiale Molinari Italia sovrapposto alla silhouette della celebre bottiglia di Sambuca Molinari, completata dall’acronimo “SM” in rosso e dalla firma del fondatore Angelo Molinari. Sul bordo inferiore campeggia la dicitura “DAL 1945”, mentre in alto si stagliano la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria. Il bozzetto, ideato da Molinari Italia e perfezionato dal Centro Filatelico dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A., è stato stampato in rotocalcografia a quattro colori su carta bianca patinata neutra autoadesiva con imbiancante ottico (90 g/m²) e supporto in carta Kraft monosiliconata (80 g/m²). L’adesivo è di tipo acrilico ad acqua (20 g/m²). Le dimensioni misurano 30×40 mm (carta), 26×36 mm (stampa) e 37×46 mm (tracciatura), con dentellatura 11 realizzata per fustellatura. Ogni foglio contiene 45 esemplari, affiancati dalla riproduzione monocromatica del logo MIMIT sulla cimosa, e viene consegnato con annullo primo giorno da Roma. 



    Il francobollo assume valenza commemorativa per i suoi riferimenti diretti alla Ditta Molinari, fondata nel 1945 da Angelo Molinari nel cuore del Friuli, che trasformò una piccola distilleria in una realtà leader nella produzione di liquori d’eccellenza. L’indicazione “DAL 1945” non soltanto segna ufficialmente l’anno di costituzione, ma evoca l’ottimismo e la determinazione con cui le imprese italiane affrontarono la ricostruzione postbellica, dando vita a prodotti capaci di coniugare tradizione artigianale e modernizzazione produttiva. La Sambuca Molinari, protagonista della grafica, rappresenta uno dei primi casi di successo nell’esportazione del Made in Italy nel settore alcolici, rafforzando il prestigio del marchio sui mercati internazionali. L’emissione rientra in un articolato programma di Poste Italiane volto a celebrare le imprese che hanno contribuito allo sviluppo economico e culturale del Paese, sottolineando il ruolo della famiglia Molinari nella promozione della cultura del gusto e nella diffusione dell’italianità nel mondo.



WLADYSLAW ANDERS (1892-1970)

 

    Albert Władysław Anders nacque a Błonie l’11 agosto 1892 in una Polonia sotto dominio russo. Dopo studi al Politecnico di Riga fu richiamato nell’esercito zarista, distinguendosi per ingegno tattico nella Prima guerra mondiale e ottenendo la Croce di San Giorgio. Dopo la rivoluzione russa partecipò come comandante di cavalleria alla guerra sovietico-polacca e completò gli studi militari all’École supérieure de guerre di Parigi, raggiungendo il grado di generale di brigata nel 1934. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale guidò una brigata di cavalleria durante la Campagna di Polonia, venne ferito e fatto prigioniero dai sovietici nel 1939, subendo torture nella Lubjanka di Mosca. Liberato nel luglio 1941 grazie all’accordo Sikorski-Majski, raccolse in Persia decine di migliaia di ex deportati e civili strappati ai gulag sovietici: 13.000 bambini orfani, centinaia di ragazze e 1.500 donne in unità ausiliarie. Qui strutturò ospedali, mense e scuole, e accolse l’orso Wojtek, mascotte del futuro II Corpo Polacco, prima dello sbarco in Medio Oriente e in Italia. 



    Sbarcato in Sicilia e trasferito sul fronte adriatico, Anders guidò il II Corpo alla cruenta vittoria di Montecassino (18 maggio 1944), spezzando la Linea Gustav e aprendo la strada verso Roma. Cooperò con il Corpo Italiano di Liberazione del gen. Utili e la brigata partigiana Maiella, liberò Ancona (16 giugno-18 luglio 1944) con un’accerchiamento e conquistò la costa adriatica fino alle Marche. Nell’autunno 1944 attaccò la Linea Gotica attraverso l’Appennino forlivese, liberando vallate e Predappio, simbolo del regime mussoliniano, pur rinunciando a Forlì per onore alleato. Malgrado lo shock di Yalta e un invito di Churchill a ritirare le truppe, mantenne il suo corpo in linea con l’appoggio dei comandi McCreery, Clark e Alexander, fino all’ingresso vittorioso a Bologna il 21 aprile 1945, partecipando alla battaglia finale insieme agli Alleati. Dopo la resa tedesca si stabilì a Londra, dove entrò nel governo polacco in esilio e, dal 1954, fece parte del “Consiglio dei tre” quale supremo organo dello Stato polacco all’estero. In Italia ottenne le cittadinanze onorarie di Bologna e Ancona, e dopo il 1990 ricevette in patria onori tardivi: vie, piazze, scuole a lui intitolate, emissioni numismatiche e il 2007 proclamato “Anno di Władysław Anders” dal Senato della Repubblica di Polonia. Morì a Londra il 12 maggio 1970 e fu sepolto, per sua volontà, accanto ai suoi soldati nel cimitero militare polacco di Montecassino.




venerdì 19 settembre 2025

ANITA EKBERG (1931-2015)

 

    Anita Ekberg, nata Kerstin Anita Marianne Ekberg a Malmö nel 1931, fu modella e attrice svedese divenuta icona internazionale per bellezza e fisicità; dopo aver vinto Miss Svezia partecipò al concorso Miss Universe 1951 che le aprì la strada per Hollywood dove firmò un contratto da starlet con la Universal, ricevendo lezioni di recitazione e sfarzo del sistema studios ma ottenendo ruoli minori in produzioni come The Mississippi Gambler e Abbott and Costello Go to Mars. La sua carriera cinematografica attraversò gli Stati Uniti e l’Europa: lavorò per Batjac e Paramount, recitò in War and Peace (1956) e in vari film di avventura, commedia e melodramma, alternando produzioni anglo-americane a co-produzioni europee; divenne pin‑up degli anni Cinquanta, spesso al centro dei rotocalchi per relazioni con star e per gesti di grande visibilità pubblica. 



    Il passaggio fondamentale avvenne a Roma: scelta da Federico Fellini per interpretare Sylvia in La Dolce Vita (1960), offrì la celebre sequenza alla Fontana di Trevi con Marcello Mastroianni, scena diventata emblema di un’epoca cinematografica e dell’immaginario internazionale; il film la consegnò alla fama mondiale e la spinse a stabilirsi in Italia, dove continuò a recitare in commedie, peplum, gialli e film d’autore, lavorando con registi e attori europei e americani e rifiutando talvolta di essere ingabbiata nel solo ruolo della diva americana in arrivo a Roma. La sua vita privata fu turbolenta: due matrimoni finiti, relazioni celebri tra cui quella con Gianni Agnelli, controversie con paparazzi e stampa, battaglie legali per la pubblicazione di foto e periodi di difficoltà economiche e di salute negli ultimi decenni; rimase comunque figura popolare, richiamata da Fellini in cameo e celebrata in documenti e omaggi contemporanei. Morta nel 2015 a Rocca di Papa per complicazioni legate a malattie croniche, fu cremata e le sue ceneri riposano in Svezia, come aveva voluto.



SAN GIUSEPPE MOSCATI (1880-1927)

 

    Giuseppe Moscati nacque a Benevento nel 1880 e divenne uno dei medici italiani più noti per l’impegno sanitario, la ricerca scientifica e la carità verso i poveri. Laureatosi con lode nel 1903, svolse l’attività clinica e di laboratorio agli Ospedali Riuniti degli Incurabili di Napoli dove si distinse per studi di chimica fisiologica e clinica, ricerche sul metabolismo del glicogeno, metodiche per la determinazione del sangue nelle nefriti e contributi alla diagnostica biochimica. Fu tra i primi in Italia ad adottare l’insulina per il trattamento del diabete e promosse misure igienico-sanitarie in occasione di epidemie come il colera, partecipando anche ai soccorsi dopo l’eruzione del Vesuvio del 1906. La sua pratica medica univa rigore scientifico e profonda spiritualità; considerava la professione medica una chiamata e il malato una presenza di Cristo, offrendosi spesso in forma gratuita ai bisognosi, sovvenzionando cure e provvedendo personalmente alla distribuzione di alimenti e latte ai poveri. 



    Nato in una famiglia di rango, scelse uno stile di vita austero, praticò la castità e dedicò molte energie all’assistenza dei più poveri evitando incarichi che lo allontanassero dall’attività ospedaliera. Durante la prima guerra mondiale prestò servizio per assistere i militari e continuò a pubblicare lavori scientifici su riviste nazionali e internazionali. Morì a Napoli il 12 aprile 1927 per un infarto. Dopo la morte la sua fama di santità crebbe rapidamente; la Chiesa cattolica avviò il processo di beatificazione e riconobbe miracoli che condussero alla beatificazione nel 1975 e alla canonizzazione nel 1987. Le sue spoglie sono custodite nella chiesa del Gesù Nuovo a Napoli e la sua figura è ricordata per l’integrazione autentica tra scienza, umanità e fede, con numerose associazioni, scuole e istituzioni che portano il suo nome e ne diffondono l’esempio di servizio disinteressato.




LA STRAGE DEL CANTIERE GONDRAND (1936)

 

    L’eccidio del cantiere Gondrand avvenne all’alba del 13 febbraio 1936 presso Mai Lahlà, nella retrovia vicino al confine con l’Eritrea, durante la guerra d’Etiopia; un gruppo di guerriglieri etiopi al comando del fitaurari Chenfè, agendo per il ras Immirù, attaccò il cantiere n.1 della Società Nazionale Trasporti Gondrand impegnato nell’ampliamento della strada Asmara–Adua. Il cantiere ospitava circa un centinaio di operai italiani ed eritrei guidati dagli ingegneri Cesare Rocca e Roberto Colloredo Mels; la presenza di presidi militari nella zona non garantiva la visibilità del campo. L’attacco, condotto da forze stimate tra cento e seicento uomini, travolse la debole difesa composta da quindici moschetti, attrezzi e pale; in poche ore furono uccisi la maggioranza degli occupanti: sessantotto italiani e diciassette eritrei, mentre due italiani sopravvissero e vennero poi rilasciati. 



    Molti corpi presentarono mutilazioni e segni di violenze estreme, mentre sul luogo si rilevarono i segni di un’esplosione nella polveriera che aveva causato perdite anche tra gli assalitori. La notizia suscitò dure reazioni: i reparti italiani compirono rappresaglie contro la popolazione locale con uccisioni, incendi e punizioni collettive, inclusa l’esecuzione di ritenuti responsabili esposti al pubblico. L’Italia presentò una denuncia alla Società delle Nazioni denunciando atrocità e uso di munizioni dum-dum; la protesta non ottenne esiti concreti e fu seguita dall’avanzata e dall’occupazione dell’Etiopia. L’eccidio rimase un episodio controverso della campagna coloniale, studiato nelle fonti d’archivio e nella storiografia che ricostruiscono modalità dell’attacco, reazioni militari e civili e il contesto di violenza reciproca della guerra.




MARCO MINGHETTI (1818-1886)

 

    Marco Minghetti (Bologna 1818 – Roma 1886) fu politico, economista e diplomatico della Destra storica, figura centrale nel Risorgimento e nella costruzione dello Stato unitario. Nato in una famiglia di proprietari terrieri, ricevette una solida formazione umanistica e scientifica, viaggiò in Europa e maturò idee liberali e economiche; pubblicò lavori su economia pubblica e libertà religiosa e si impegnò in pratiche agricole moderne. Dopo i moti del 1848 fu ministro dei Lavori Pubblici nello Stato pontificio, partecipò come ufficiale di stato maggiore nelle campagne contro l’Austria e, pur critico verso i repubblicani, mantenne posizioni moderate. Passato a Torino, si avvicinò a Cavour e al progetto unitario; fu segretario generale del ministero degli Esteri e presidente dell’Assemblea delle Romagne per l’annessione al Regno di Sardegna. 



    Ministro dell’Interno con Cavour e poi con Ricasoli, propose un progetto di decentramento amministrativo respinto dal Parlamento; divenne ministro delle Finanze e nel 1863 capo del governo, affrontando brigantaggio e la questione romana, e negoziò con la Francia la Convenzione di settembre del 1864 che prevedeva il ritiro delle guarnigioni francesi da Roma e lo spostamento della capitale a Firenze, decisione controversa che causò tumulti e la sua caduta. Fu di nuovo Presidente del Consiglio tra 1873 e 1876; la sua rigorosa politica fiscale portò al primo pareggio di bilancio italiano nel 1876 ma provocò la “rivoluzione parlamentare” e la sconfitta della Destra. Negli anni successivi si dedicò agli studi, alle relazioni culturali e diplomatiche, promosse contatti commerciali con Cina e Giappone, scrisse opere su Stato e Chiesa e mantenne ruolo di riferimento morale contro il trasformismo politico; morì a Roma nel 1886 e fu sepolto nella Certosa di Bologna.




NOCCIOLINI DI CHIVASSO

 

    Il francobollo dedicato ai Nocciolini di Chivasso, emesso il 10 settembre 2025 nella serie tematica “Le Eccellenze del sistema produttivo e del Made in Italy”, ha valore tariffario B pari a 1,30 euro e una tiratura di 200.004 esemplari distribuiti su fogli da 28 esemplari; la vignetta riproduce i piccoli dolcetti accompagnati da una foglia di nocciolo e dai suoi frutti con la legenda NOCCIOLINI DI CHIVASSO, la scritta ITALIA e l’indicazione tariffaria B2. Il bozzetto è di Emanuele Cigliuti e la stampa è affidata all’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato in rotocalcografia su carta bianca patinata neutra autoadesiva con imbiancante ottico; grammatura carta 90 g/mq, supporto Kraft monosiliconato 80 g/mq, adesivo acrilico ad acqua 20 g/mq da secco, dentellatura ottenuta tramite fustellatura 12, formato del riquadro 48 x 40 mm con vignetta tonda inserita e tracciatura 54 x 47 mm. Sono previste emissioni collaterali come busta primo giorno, annullo filatelico e cartella tematica per collezionisti. 



    La scelta di celebrare i Nocciolini di Chivasso nasce da proposte avanzate dalle realtà locali e da Ascom Confcommercio Torino per valorizzare un prodotto identificativo del territorio; il francobollo riconosce oltre un secolo di storia che parte da laboratori artigianali come quello di Giovanni Podio e si consolida con il brevetto depositato nei primi anni del Novecento e con la Festa dei Nocciolini istituita nel 1995. I Nocciolini, composti da soli zucchero, albume e nocciole e noti come “dolci più piccoli del mondo”, rappresentano un esempio di patrimonio gastronomico legato all’identità locale, alla tradizione della pasticceria piemontese e alla filiera delle nocciole; l’emissione filatelica assume valore promozionale oltre che celebrativo, inserendo il prodotto nella narrazione nazionale del Made in Italy e favorendo visibilità turistica e culturale per Chivasso e l’intero territorio circostante.



giovedì 18 settembre 2025

ANGELA LANSBURY (1925-2022)

 

    Angela Brigid Lansbury nacque a Londra il 16 ottobre 1925 da un’attrice irlandese e da un politico inglese. Scappata dal Blitz nel 1940, si stabilì negli Stati Uniti dove studiò recitazione a New York e nel 1942 firmò con la Metro-Goldwyn-Mayer, debuttando in Gaslight, National Velvet e Il ritratto di Dorian Gray, ruoli che le valsero due nomination all’Oscar come miglior attrice non protagonista. Sposata con Richard Cromwell e poi con Peter Shaw, con cui ebbe due figli, divenne cittadina statunitense e irlandese trasferendosi in Contea di Cork. Insoddisfatta dei ruoli stereotipati offerti dagli studi, negli anni Cinquanta si dedicò al teatro: nel 1966 esplose con Mame, vincendo il primo Tony Award e conquistando lo status di icona gay; seguirono Gypsy e la macabra Mrs Lovett in Sweeney Todd, che le fruttò un secondo Tony, e in seguito fu ammessa nell’American Theatre Hall of Fame. 



    Parallelamente proseguì la carriera cinematografica con Bedknobs and Broomsticks, Il candidato della Manchuria e Beauty and the Beast, dove doppiò la Bestia; prestò voce a Anastasia, Nanny McPhee e Mary Poppins Returns. Dal 1984 al 1996 incarnò Jessica Fletcher in Murder, She Wrote, una delle serie poliziesche più longeve di sempre, di cui fu anche produttrice esecutiva tramite la società fondata col marito. Durante la sua carriera collezionò sei Tony Awards, sei Golden Globe, un Laurence Olivier, un Academy Honorary Award, tre nomination all’Oscar, diciotto agli Emmy e una al Grammy. Scomparsa l’11 ottobre 2022 a 96 anni, ha lasciato un’impronta indelebile in teatro, cinema e televisione grazie all’eleganza della sua presenza.



LE PASQUE VERONESI (1797)

 

    Le Pasque veronesi furono un’insurrezione scoppiata a Verona tra il 17 e il 25 aprile 1797 contro le truppe francesi di occupazione guidate dal generale Antoine Balland su ordine di Napoleone Bonaparte. Alimentata da soprusi, confische di beni e tentativi di imporre la Repubblica giacobina nel territorio veneziano, la rivolta esplose quando un manifesto provocatorio attribuito al provveditore Francesco Battaia infiammò le folle. Dopo una rissa in un’osteria e uno sparo tra civili e soldati presso i ponti, migliaia di cittadini armati di fucili, sciabole, forconi e bastoni assalirono pattuglie e alloggi francesi, mettendo fuori combattimento oltre mille militari. Il popolo insorse con il sostegno di volontari delle cernide e di milizie attive nelle valli bergamasche e bresciane, mentre i comandanti Emilei, Bevilacqua, Maffei e Miniscalchi guidavano le azioni a Porta San Zeno, Porta Nuova, Porta San Giorgio e Porta Vescovo. 



    Assediato dai popolani Castelvecchio resistette alle sortite dei forti di San Felice e San Pietro finché gli insorti conquistarono cannoni e rovesciarono le artiglierie nemiche. Il provveditore Battaia tentò di negoziare con i francesi, ma il Senato di Venezia rimase inerte, impegnato nell’armistizio di Leoben con l’Austria, che di fatto consegnò la Lombardia ai francesi. Alla fine aprile circa 15.000 soldati napoleonici circondarono Verona, soffocarono la rivolta il 25 aprile e inflissero pesanti ammende, razzie di opere d’arte e prigionie per quasi duemila civili. L’episodio accelerò la caduta della Repubblica di Venezia e generò un acceso dibattito storiografico che si protrae ancora oggi.




STORIA DEL BUSTO DI NEFERTITI (1370-1330 A.C.)

 

    La celebre scultura policroma ritrae Nefertiti, Grande Sposa Reale del faraone Akhenaton, ed è realizzata in calcare con un sottile rivestimento di stucco dipinto. Alta 48 centimetri e dal peso di circa 20 kg, fu rinvenuta il 6 dicembre 1912 a Tell-el Amarna durante uno scavo della Deutsche Orient-Gesellschaft guidato da Ludwig Borchardt. Trovata avvolta in una cassa male illuminata, fu presentata come un modesto elemento in gesso per nasconderne il valore e facilitarne l’esportazione in Germania, dove arrivò nel 1913. Il volto, perfettamente simmetrico, mostra sopracciglia arcuate, zigomi pronunciati e collo slanciato. Indossa un copricapo blu “a coroncina” con fascia dorata e Uraeus, mentre la collana a motivi floreali aggiunge eleganza. L’occhio destro è composto da quarzo e pittura fissati con cera d’api, mentre il sinistro rimane vuoto, forse lasciato incompleto come modello didattico. 



    Sin dal 1923 analisi chimiche hanno individuato pigmenti dell’epoca amarniana: fritta azzurra, orpimento giallo, ossidi di ferro e carbone, e successive tomografie del 1992 e del 2006 hanno rivelato una fisionomia interna con rughe e imperfezioni ricoperte dallo stucco esterno, prova della cura di Thutmose. Durante la Seconda Guerra Mondiale fu spostata dalla banca prussiana a un bunker antiaereo e infine a una miniera di sale a Merkers: recuperata dagli Alleati, rimase in esposizione negli USA fino al 1956, poi divisa tra Berlino Est e Ovest. Dal 1924 è esposta al Neues Museum, oggi nel Museo Egizio del Neues Museum. Da quasi un secolo l’Egitto ne reclama la restituzione, accusando Borchardt di inganno, e Zahi Hawass ha minacciato boicottaggi culturali con campagne come “Return to Sender”. Teorie di falso, avanzate da Henri Stierlin ed Erdogan Ercivan, sono state smentite da radiografie, analisi dei pigmenti e confronto con altre opere amarniane. Icona globale di bellezza, ogni anno attira mezzo milione di visitatori, simboleggiando insieme l’eleganza antica e le tensioni postcoloniali sul patrimonio culturale.




LA MISTERIOSA SCOMPARSA DELLA LEGIONE ROMANA DI CRASSO IN CINA (53 A.C.)

 

    Nell’estate del 53 a.C. Marco Licinio Crasso guidò oltre trentamila fra legionari e ausiliari verso i territori dei Parti, convinto di arricchirsi e conquistare l’Oriente. All’altezza di Carre, sull’Eufrate, le orde di arcieri partiani tesero un’imboscata: archi potenti, tattiche mobili, un caldo soffocante. I romani furono accerchiati, rimasti fermi in catene di schieramento rigide, e subirono perdite enormi. Alcuni sopravvissuti, catturati vivi, divennero prigionieri dell’impero dei Parti e finirono deportati verso steppa e deserto, tra l’odierno Uzbekistan e il Turkmenistan. Nel 1955 lo storico Homer H. Dubs avanzò l’ipotesi che un piccolo contingente di questi prigionieri riuscì a fuggire o fu trasferito più a est e, vagando lungo la Via della Seta, varcò le frontiere dell’Impero cinese. Secondo Dubs, gli annali Han parlano di un gruppo di centocinquanta uomini che adottò la caratteristica formazione “a scaglie di pesce”, simile alla testuggine romana. 



    Catturati dai cinesi, quei guerrieri sarebbero stati integrati nell’esercito Han come truppe mercenarie, quindi stabilitisi in un villaggio chiamato Liqian, traslitterazione di Li-chien (“Alexandria”). All’inizio del XXI secolo, le ricerche archeologiche e gli studi genetici su Zhelaizhai, villaggio erede di Liqian nella provincia di Gansu, registrarono in alcuni abitanti tratti europei insoliti in Cina: occhi chiari, nasi sporgenti, gruppo sanguigno raro. Ma molti storici hanno sottolineato che il nome Liqian compare già in documenti del 104 a.C. e che le prove materiali sono inconcludenti. Restano resti di fortificazioni, mattoni di forma inconsueta e tradizioni orali che evocano antichi stranieri. Che si tratti di fatti o di un mito alimentato dal desiderio di radici grandiose, la storia della legione romana in Cina continua a suscitare fascino e dibattito tra appassionati e studiosi.




martedì 16 settembre 2025

ANDREA LEEDS (1913-1984)

 

    Antoinette Lees nacque il 18 agosto 1913 a Butte, Montana, unica figlia di Charles, ingegnere minerario, e di Lina Deoviddio; l’infanzia trascorse in Messico, dove il padre seguiva attività estrattive. Tornata negli Stati Uniti, si laureò in Lettere all’Università della California a Los Angeles, con l’intenzione di dedicarsi alla scrittura prima di essere attratta dal cinema. Nel 1933 esordì sullo schermo con brevi comparse sotto il nome di Andrea Lees, alternando ruoli non accreditati in drammi e commedie. Il primo ruolo significativo arrivò nel 1936 con Come and Get It, seguito da It Could Happen to You l’anno successivo. La consacrazione avvenne in Stage Door (1937), dove interpretò Kay Hamilton accanto a Katharine Hepburn, Ginger Rogers e Lucille Ball, guadagnandosi la candidatura all’Oscar come miglior attrice non protagonista. Il volto dolce e rassicurante di Leeds la portò a interpretare Hazel Dawes ne The Goldwyn Follies (1938), ma il film deludente le costò una battuta d’arresto. Nello stesso anno sostenne screen test per il ruolo di Melanie in Via col vento, poi assegnato a Olivia de Havilland. Compì il salto nei ruoli da protagonista accanto a Joel McCrea in Youth Takes a Fling (1938) e They Shall Have Music (1939), mostrando versatilità recitativa e charme naturale. 



    Nel biennio successivo fu protagonista de The Real Glory con Gary Cooper e David Niven, e di Swanee River – la prima biografia a colori di Stephen Foster – al fianco di Don Ameche. L’ultimo film fu Earthbound (1940), un giallo soprannaturale in cui il fantasma del marito aiuta la protagonista a risolvere un omicidio. A soli ventisette anni, decise di ritirarsi dallo schermo dopo aver sposato un anno prima Robert Stewart Howard, figlio dell’imprenditore e proprietario di cavalli Charles S. Howard. Dalla unione nacquero due figli, Robert Jr. e Leann, scomparsa prematuramente nel 1971. Insieme al marito gestì allevamenti di purosangue, diventando proprietaria e allevatrice di successo grazie anche al celebre soggetto Seabiscuit. La coppia acquistò e trasformò in hotel il Colonial House di Palm Springs, noto oggi come Colony Palms, con una suite dedicata al loro campione equino. Rimasta vedova nel 1962, Andrea avviò un’attività nel settore orafo, mantenendo viva la passione per l’equitazione. Morì di cancro il 21 maggio 1984 a Riverside, California, e riposa nel Desert Memorial Park di Cathedral City. Nel 1994 fu insignita della Golden Palm Star sulla Palm Springs Walk of Stars, a riconoscimento del suo contributo al cinema e allo sport equestre americano.