venerdì 19 settembre 2025

LA STRAGE DEL CANTIERE GONDRAND (1936)

 

    L’eccidio del cantiere Gondrand avvenne all’alba del 13 febbraio 1936 presso Mai Lahlà, nella retrovia vicino al confine con l’Eritrea, durante la guerra d’Etiopia; un gruppo di guerriglieri etiopi al comando del fitaurari Chenfè, agendo per il ras Immirù, attaccò il cantiere n.1 della Società Nazionale Trasporti Gondrand impegnato nell’ampliamento della strada Asmara–Adua. Il cantiere ospitava circa un centinaio di operai italiani ed eritrei guidati dagli ingegneri Cesare Rocca e Roberto Colloredo Mels; la presenza di presidi militari nella zona non garantiva la visibilità del campo. L’attacco, condotto da forze stimate tra cento e seicento uomini, travolse la debole difesa composta da quindici moschetti, attrezzi e pale; in poche ore furono uccisi la maggioranza degli occupanti: sessantotto italiani e diciassette eritrei, mentre due italiani sopravvissero e vennero poi rilasciati. 



    Molti corpi presentarono mutilazioni e segni di violenze estreme, mentre sul luogo si rilevarono i segni di un’esplosione nella polveriera che aveva causato perdite anche tra gli assalitori. La notizia suscitò dure reazioni: i reparti italiani compirono rappresaglie contro la popolazione locale con uccisioni, incendi e punizioni collettive, inclusa l’esecuzione di ritenuti responsabili esposti al pubblico. L’Italia presentò una denuncia alla Società delle Nazioni denunciando atrocità e uso di munizioni dum-dum; la protesta non ottenne esiti concreti e fu seguita dall’avanzata e dall’occupazione dell’Etiopia. L’eccidio rimase un episodio controverso della campagna coloniale, studiato nelle fonti d’archivio e nella storiografia che ricostruiscono modalità dell’attacco, reazioni militari e civili e il contesto di violenza reciproca della guerra.