lunedì 10 novembre 2025

BICENTENARIO FONDAZIONE BORLENGHI IMPIANTI


    Il francobollo ordinario dedicato a Borlenghi Impianti è stato emesso il 14 ottobre 2025 e appartiene alla serie tematica “Le eccellenze del sistema produttivo e del Made in Italy”. La vignetta raffigura un’illustrazione d’epoca di una caldaia in ghisa Borlenghi, collocata in un contesto domestico, con il logo ufficiale del bicentenario in alto a destra. Completano il disegno la legenda “BORLENGHI IMPIANTI”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”. Il bozzetto è stato realizzato dal Centro Filatelico dell’Officina Carte Valori e Produzioni Tradizionali dell’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. La stampa è stata eseguita in rotocalcografia con cinque colori su carta bianca, patinata neutra, autoadesiva, con imbianchimento fluorescente. La tiratura è stata fissata in 200.025 esemplari. Il formato è quello standard dei francobolli ordinari italiani e la confezione prevede fogli da quarantacinque esemplari. Il valore facciale corrisponde alla tariffa B, pari a 1,30 euro per la corrispondenza ordinaria nazionale. L’emissione è stata accompagnata da un bollettino illustrativo che descrive le caratteristiche tecniche e iconografiche e da un annullo speciale primo giorno di emissione disponibile presso l’ufficio postale di Mantova, città legata alla storia dell’azienda. La celebrazione riguarda il bicentenario della fondazione di Borlenghi Impianti, azienda nata nel 1825 e specializzata nella produzione e installazione di impianti di riscaldamento e condizionamento per abitazioni civili, edifici industriali e pubblici. 



    La società ha avuto origine come officina artigianale di lavorazione della ghisa e nel corso dell’Ottocento si è distinta per la realizzazione di caldaie e sistemi di riscaldamento innovativi, diffusi in numerose città italiane. Nel Novecento ha ampliato la propria attività al settore industriale e pubblico, contribuendo alla modernizzazione degli impianti energetici e alla diffusione di soluzioni tecnologiche per il comfort domestico. La tradizione di qualità e innovazione ha reso Borlenghi Impianti un punto di riferimento nel settore, con una produzione che ha accompagnato l’evoluzione delle abitazioni e delle strutture produttive italiane. La scelta di dedicare un francobollo al bicentenario dell’azienda si inserisce nel programma di valorizzazione delle eccellenze produttive italiane, celebrando una realtà che ha contribuito allo sviluppo economico e sociale del Paese. L’emissione filatelica sottolinea il ruolo storico dell’impresa nel panorama industriale nazionale e testimonia l’importanza delle aziende familiari che hanno saputo trasformarsi in realtà consolidate e riconosciute. La commemorazione attraverso il francobollo rappresenta un riconoscimento istituzionale della lunga attività di Borlenghi Impianti e della sua capacità di coniugare tradizione e innovazione nel corso di due secoli di storia.



ARTURA DAZZI (1881-1966)

 

    Arturo Dazzi nacque a Carrara il 13 luglio 1881 da Lorenzo e Amalia Castelpoggi. Rimasto presto orfano del padre, concessionario di cave e laboratorio di marmo, iniziò giovanissimo a lavorare come apprendista scalpellino presso lo zio. Nel 1892 si iscrisse all’Accademia di Belle Arti di Carrara, seguendo i corsi di Lio Gangeri fino al 1899 e studiando insieme ad Alterige Giorgi. Grazie a una borsa di studio triennale si trasferì a Roma nel 1901, dove entrò in contatto con le novità artistiche del primo Novecento. Nel 1907 fu iniziato in Massoneria nella Loggia Fantiscritti di Carrara. Nel 1908 realizzò la statua del giurista Cardinal De Luca per il Palazzo di Giustizia di Roma e nel 1912 il fregio della Cappella Martini nella Certosa di Bologna. Partecipò alle esposizioni nazionali giovanili di Napoli nel 1912 e 1913 e alla Biennale di Venezia del 1914. Nel 1920 presentò alla Dodicesima Esposizione d’arte di Venezia la testa in marmo rosa Serafina. Una delle sue prime opere, I costruttori, fu acquistata dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna. Tra il 1918 e il 1926 vinse numerosi concorsi e collaborò con l’architetto Marcello Piacentini, realizzando diversi Monumenti ai Caduti, tra cui quello di Genova inaugurato nel 1931. Tra il 1922 e il 1930 eseguì opere come Antonella, Sogno di bimba e il Cavallino, quest’ultimo esposto alla Biennale del 1928 e acquistato dalla Galleria d’Arte Moderna di Roma. 



    Nel 1930 insegnò scultura in marmo all’Accademia di Carrara, formando allievi come Luigi Venturini e Giorgio Salvi. Tra il 1931 e il 1932 scolpì il colosso marmoreo di Piazza della Vittoria a Brescia, alto 7,50 metri, noto come Il Bigio, rimosso nel 1945 e conservato in un magazzino comunale. Nel 1935 partecipò alla II Quadriennale romana con una cera e diciannove dipinti a olio. Nel 1937 fu nominato Accademico e iniziò il progetto della Stele Marconi all’EUR di Roma, obelisco rivestito da 92 pannelli in marmo di Luni, inaugurato nel 1959 in occasione delle Olimpiadi. Nel 1938 la sua scultura Adolescente fu esposta a Berna. Collaborò con Gaetano Rapisardi al Mausoleo di Ciano a Livorno, rimasto incompiuto sull’isola di Santo Stefano. Dal 1948 al 1950 fu titolare della cattedra di scultura all’Accademia di Carrara. Nel 1952 espose alla Biennale di Venezia il ritratto ligneo di Malaparte. Nel 1958 realizzò l’altorilievo per la Basilica di San Giovanni Bosco a Roma. Tra le sue ultime opere vi furono il Monumento a San Francesco a Vittoria Apuana nel 1962 e la statua di Dante a Mulazzo nel 1966. Morì a Pisa il 16 ottobre 1966.




SAVERIO MERCADANTE (1795-1870)

 

    Giuseppe Saverio Raffaele Mercadante nacque ad Altamura il 17 settembre 1795 secondo alcune fonti, mentre altre indicano Napoli il 26 giugno 1797. Durante la rivoluzione altamurana del 1799 la madre lo salvò dalla morte fuggendo con lui. Apprese i rudimenti musicali dal fratellastro Giacinto e studiò a Napoli con Giovanni Furno, Giacomo Tritto e Nicola Antonio Zingarelli, avendo come compagni Vincenzo Bellini e Piero Maroncelli. Esordì come compositore teatrale nel 1819 con L’apoteosi d’Ercole e si affermò nel 1821 alla Scala di Milano con Elisa e Claudio. Le sue opere furono rappresentate nei principali centri italiani ed europei, in particolare a Vienna. Tra il 1827 e il 1829 soggiornò in Spagna e Portogallo, poi nel 1833 fu nominato maestro di cappella della cattedrale di Novara. Nel 1832 sposò Sofia Gambaro, vedova genovese con tre figli, dalla quale ebbe Serafina, Osvino e Saverio. Nel 1836, su invito di Rossini, si recò a Parigi dove al Théâtre Italien rappresentò I briganti. Dal 1840 al 1870 diresse il Conservatorio di Napoli. Morì il 17 dicembre 1870 a Napoli ed è sepolto al cimitero monumentale di Poggioreale. Il suo stile operistico fu influenzato da Rossini e caratterizzato da elaborazione armonica, orchestrazione innovativa e forte evidenza drammatica dei personaggi, anticipando aspetti del teatro verdiano. 



    Conobbe Meyerbeer a Parigi e progettò una riforma dell’opera italiana variando i numeri musicali e arricchendo l’orchestrazione. Rimase legato al bel canto e all’eredità dell’opera seria con influssi gluckiani. Compose anche musica strumentale, tra cui il concerto per flauto traverso n. 2 op. 57 del 1814. Fu autore di oltre sessanta opere teatrali, tra cui La testa di bronzo del 1827, Il giuramento del 1837, Il bravo del 1839, La Vestale del 1840, Orazi e Curiazi del 1846 e Virginia del 1866. Scrisse quattro balletti, sinfonie commemorative dedicate a Bellini, Donizetti, Rossini e Pacini, composizioni orchestrali, cantate, inni, musica sacra e da camera. Tra i balletti figurano Il servo balordo del 1818, Il califfo generoso del 1818, Il flauto incantato del 1818 e I portoghesi nelle Indie del 1819. James Joyce lo citò più volte nel romanzo Ulisse. In piazza Mercadante a Napoli si trova una statua a lui dedicata. La sua casa natale è ad Altamura in corso Federico II di Svevia, accanto alla cappella di San Biagio. Una targa ricorda il periodo trascorso a Novara.




sabato 8 novembre 2025

MINERALOGIA: L'ACQUAMARINA

 

    L’acquamarina è una varietà di berillo, minerale appartenente al gruppo dei silicati, caratterizzata da tonalità che vanno dal blu chiaro al verde acqua, determinate dalla presenza di ferro nella struttura cristallina. Ha formula chimica Be₃Al₂Si₆O₁₈ con tracce di Fe²⁺, sistema cristallino esagonale, durezza compresa tra 7,5 e 8 sulla scala di Mohs, peso specifico tra 2,65 e 2,85 e indice di rifrazione tra 1,57 e 1,59. È trasparente o traslucida, con lucentezza vitrea e frattura concoidale. Può contenere inclusioni di quarzo, mica, pirite, rutilo o acqua salata, ma spesso si presenta priva di difetti. Si forma in pegmatiti granitiche e vene idrotermali, in rocce di età precambriana, con processi di cristallizzazione che richiedono milioni di anni. Il nome deriva dal latino aqua e marina, “acqua di mare”, attestato nel 1677. In passato il termine fu usato anche per altre gemme come tormalina, smeraldo, crisolite, zaffiro e topazio. È più comune e accessibile dello smeraldo, ma più costosa di gemme simili come il topazio blu. Il valore dipende da colore, peso, purezza e taglio; le pietre naturali con tonalità blu intense sono più pregiate di quelle trattate termicamente per eliminare sfumature gialle. Esiste una varietà rara detta maxixe, di colore blu scuro, che tende a scolorire alla luce solare e può essere riprodotta artificialmente tramite irraggiamento. 



    Nell’antichità i Greci la usavano per intagli, i Romani le attribuivano proprietà curative, i Cinesi la impiegavano per sigilli e bambole ornamentali, i Giapponesi per netsuke. È stata adottata come gemma ufficiale dello stato del Colorado nel 1971. I giacimenti principali si trovano in Brasile, soprattutto nello stato di Minas Gerais, ma anche in Afghanistan, Pakistan, Cina, Kenya, Russia, Mozambico, Stati Uniti, Nigeria, Madagascar, Zambia, Tanzania, Sri Lanka, Malawi, India, Zimbabwe, Australia, Myanmar e Namibia. Tra gli esemplari celebri figurano il Dom Pedro, la più grande acquamarina tagliata al mondo con 10.363 carati conservata al National Museum of Natural History di Washington, il Roosevelt Aquamarine di 1.298 carati donato a Eleanor Roosevelt nel 1936, l’Hirsch Aquamarine appartenuta a Luigi XV, la tiara di Elisabetta II ricevuta dal Brasile nel 1953, l’anello di Diana indossato da Meghan Markle e il gioiello Schlumberger Bow di Tiffany & Co. custodito al Field Museum di Chicago. L’estrazione avviene con tecniche a cielo aperto o sotterranee, seguite da frantumazione e separazione dei cristalli.



IL BARONE DI MUNCHHAUSEN (FILM 1943)

 

    Il film Münchhausen fu prodotto dalla UFA nel 1943 per celebrare il 25° anniversario della casa cinematografica. La regia fu affidata a Josef von Báky, mentre il ruolo principale fu interpretato da Hans Albers. Il soggetto si basava sulle avventure del barone di Münchhausen e il copione fu scritto da Erich Kästner, che dovette firmare con lo pseudonimo Berthold Bürger a causa del divieto imposto dal regime nazista. La produzione ebbe un costo di circa 6,5 milioni di Reichsmark, risultando la seconda più costosa della Germania nazista dopo Kolberg di Veit Harlan. Il film fu girato in Agfacolor, tecnologia avanzata per l’epoca, e rappresentò una delle più imponenti produzioni cinematografiche del Terzo Reich. Le riprese si svolsero tra il 1942 e il 1943 con ampio impiego di scenografie e effetti speciali. La trama racconta le avventure fantastiche del barone, che grazie a un elisir di lunga vita attraversa secoli e paesi, vivendo episodi straordinari come viaggi sulla luna, incontri con personaggi storici e avventure amorose. Il film fu distribuito nelle sale tedesche nel marzo 1943 e riscosse grande successo di pubblico. La durata era di circa 133 minuti. Tra gli interpreti figuravano anche Brigitte Horney, Ilse Werner, Leo Slezak e Ferdinand Marian. 



    La pellicola fu concepita come strumento di intrattenimento e propaganda, mostrando un mondo fiabesco e spettacolare in un periodo di guerra. La lavorazione coinvolse numerosi tecnici e artisti, con scenografie curate da Emil Hasler e costumi di Rochus Gliese. La colonna sonora fu composta da Georg Haentzschel. Dopo la guerra il film fu proiettato anche in altri paesi e rimase noto come esempio di cinema spettacolare della Germania nazista. La sua realizzazione fu resa possibile grazie al sostegno diretto delle autorità del regime, che intendevano celebrare la potenza dell’industria cinematografica tedesca. La pellicola è ricordata per l’uso innovativo del colore e per la ricchezza visiva delle scene. Nel dopoguerra fu oggetto di analisi critiche per il contesto politico in cui nacque e per il ruolo di Erich Kästner, che pur essendo ostile al regime accettò di scrivere il copione sotto pseudonimo. Il film rimane una testimonianza della produzione cinematografica tedesca durante la Seconda guerra mondiale e della volontà del regime di utilizzare il cinema come mezzo di prestigio culturale e tecnico.




LINA CAVALIERI (1875-1944)

 

    Natalina Adelina Cavalieri, detta Lina, nacque a Roma il 25 dicembre 1875 da Florindo Cavalieri e Teonilla Peconi. Dopo il licenziamento del padre la famiglia si trasferì a Roma e Lina svolse lavori umili come sarta e impaginatrice. Studiò canto con Arrigo Molfetta e a 17 anni ebbe un figlio, Alessandro, che visse in collegio e intraprese la carriera militare. La sua carriera iniziò nei teatri minori di Roma e Napoli, dove ottenne successo al Salone Margherita. A Parigi trionfò alle Folies Bergère con un repertorio di canzoni napoletane. La sua bellezza fu celebrata da Gabriele D’Annunzio che le dedicò una copia del romanzo Il piacere. Debuttò come soprano lirico nel 1900 al Teatro San Carlo di Napoli in La bohème di Puccini e si esibì nei principali teatri europei e americani accanto a Enrico Caruso e Francesco Tamagno. Pur avendo mezzi vocali limitati, la sua presenza scenica e la bellezza la resero celebre. Fu protagonista al Metropolitan Opera e alla Manhattan Opera di New York, interpretando Fedora e Adriana Lecouvreur, guadagnandosi il soprannome di The Kissing Primadonna. 



    Nel 1914 lasciò il teatro e intraprese la carriera cinematografica con Manon Lescaut e altri sette film fino al 1920, anno del suo ritiro definitivo. Nel 1921 si trasferì a Parigi e aprì un istituto di bellezza. Si sposò 5 volte: nel 1899 con il principe Aleksandr Barjatinskij, da cui divorziò; nel 1907 con l’americano Robert E. Chanler, matrimonio durato una settimana; nel 1913 con il tenore Lucien Muratore, da cui divorziò nel 1927; successivamente con Giovanni Campari, imprenditore della celebre famiglia; infine con Arnaldo Pavoni, impresario. Ebbe numerosi ammiratori, tra cui Davide Campari e il designer Piero Fornasetti, che utilizzò il suo volto come cifra distintiva delle sue opere. Negli ultimi anni visse nella Villa Cappuccina presso Rieti con il figlio Alessandro e dettò le sue memorie a Paolo D’Arvanni. Morì a Firenze il 7 febbraio 1944 durante un’incursione aerea alleata. I funerali si svolsero nella basilica di Santa Croce e la salma fu tumulata al cimitero del Verano a Roma. La sua vita fu raccontata nel film La donna più bella del mondo del 1955 con Gina Lollobrigida. La sua carriera operistica incluse ruoli in Carmen, Mefistofele, Adriana Lecouvreur, Andrea Chénier, Fedora, Siberia, Faust, Pagliacci, Zazà, Erodiade, Thaïs, I racconti di Hoffmann, Manon Lescaut, La bohème, Tosca, Rigoletto e La traviata.




giovedì 6 novembre 2025

300° ANNIVERSARIO DELLA "LEONE LA FERLA"

 

    Il francobollo dedicato ai 300 anni della "Leone La Ferla" è stato emesso il 14 ottobre 2025 dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, in collaborazione con Poste Italiane, nell’ambito della serie tematica “Le eccellenze del sistema produttivo e del Made in Italy”. Il valore facciale è corrispondente alla tariffa B per la posta ordinaria. La tiratura è stata fissata in 200.025 esemplari. La vignetta riproduce un dipinto ad olio su tela realizzato nel 2016 da Alessandro Russo, raffigurante lo storico calcificio La Ferla di Melilli, in provincia di Siracusa. In alto a sinistra è presente il logo dell’azienda. Completano il francobollo le legende “LEONE LA FERLA” e “DAL 1724”, la scritta “ITALIA” e l’indicazione tariffaria “B”. Il bozzetto è stato curato dallo stesso Alessandro Russo. La stampa è stata eseguita dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. con tecnica rotocalcografica. I colori utilizzati sono in quadricromia. La carta impiegata è bianca, patinata neutra, autoadesiva, con imbiancante ottico, e ha una grammatura di 90 g/m². Il supporto è costituito da carta Kraft monosiliconata da 80 g/m². Il francobollo è distribuito in fogli da 28 esemplari e presenta un codice a barre n° 2643 posizionato in basso a sinistra. 



    La celebrazione filatelica è dedicata alla Leone La Ferla S.p.A., storica azienda siciliana fondata nel 1724, attiva nel settore della produzione di calce e materiali da costruzione. L’impresa ha sede a Melilli, in provincia di Siracusa, e rappresenta una delle realtà industriali più longeve d’Italia. Nel corso dei tre secoli di attività, la Leone La Ferla ha contribuito allo sviluppo economico e infrastrutturale della Sicilia, mantenendo una produzione continua e innovativa. L’azienda è stata protagonista della ricostruzione post-bellica e ha fornito materiali per opere pubbliche e private di rilievo. Il francobollo celebra i 300 anni dalla fondazione, riconoscendo il valore storico e produttivo dell’impresa. L’iniziativa rientra nel programma filatelico nazionale volto a valorizzare le eccellenze imprenditoriali italiane. La scelta di rappresentare il calcificio in un’opera pittorica sottolinea il legame tra industria e cultura visiva. La Leone La Ferla è considerata un simbolo del Made in Italy per la qualità dei suoi prodotti e per la continuità della sua tradizione manifatturiera. Il francobollo è stato accolto positivamente nel panorama filatelico e industriale, consolidando il ruolo della filatelia come strumento di memoria e valorizzazione del patrimonio produttivo nazionale.



DEBORAH KERR (1921-2007)

 

    Deborah Jane Kerr Trimmer nacque il 30 settembre 1921 a Glasgow, in Scozia, figlia di Kathleen Rose Smale e Arthur Charles Kerr Trimmer, ingegnere civile e veterano della Prima Guerra Mondiale. La famiglia si trasferì a Helensburgh, dove Deborah crebbe. Studiò danza a Bristol e Weston-super-Mare, ma abbandonò la carriera di ballerina per dedicarsi alla recitazione, formandosi alla Hicks-Smale Drama School sotto la guida della zia Phyllis Smale. Debuttò a teatro nel 1937 e al cinema nel 1941 con "Contraband" e "Major Barbara". Ottenne ruoli importanti in "Love on the Dole" (1941), "Hatter’s Castle" (1942) e "The Life and Death of Colonel Blimp" (1943), dove interpretò tre personaggi. Il successo internazionale arrivò con "Black Narcissus" (1947), prodotto dai fratelli Powell e Pressburger. Trasferitasi a Hollywood, firmò un contratto con la MGM e ottenne la prima candidatura all’Oscar per "Edward, My Son" (1949). Recitò in "King Solomon’s Mines" (1950), "Quo Vadis" (1951), "The Prisoner of Zenda" (1952) e "From Here to Eternity" (1953), che le valse una seconda candidatura. 



    Fu protagonista in "The King and I" (1956), "Tea and Sympathy" (1956), "Heaven Knows, Mr. Allison" (1957), "An Affair to Remember" (1957) e "Separate Tables" (1958), ricevendo ulteriori nomination. Negli anni ’60 interpretò "The Sundowners" (1960), "The Innocents" (1961), "The Chalk Garden" (1964), "The Night of the Iguana" (1964) e "Casino Royale" (1967). Si ritirò dal cinema nel 1969, tornando nel 1985 con "The Assam Garden". Lavorò anche in teatro e televisione, ricevendo una nomination agli Emmy per "A Woman of Substance" (1985). Fu sposata con Tony Bartley dal 1945 al 1959, con cui ebbe due figlie, e successivamente con Peter Viertel dal 1960 fino alla morte. Morì il 16 ottobre 2007 a Botesdale, nel Suffolk, per complicazioni legate al morbo di Parkinson. Ricevette sei nomination agli Oscar e un premio onorario nel 1994. Fu insignita del titolo di Commander of the Order of the British Empire nel 1998 e ha una stella sulla Hollywood Walk of Fame.




VICTOR MATURE (1913-1999)

 

    Victor John Mature nacque il 29 gennaio 1913 a Louisville, Kentucky, da padre italiano originario di Pinzolo e madre statunitense di origine svizzera. Studiò alla St. Xavier High School, al Kentucky Military Institute e alla Spencerian Business School. Dopo aver svolto vari lavori, si trasferì in California e studiò recitazione al Pasadena Playhouse. Fu scoperto da Charles R. Rogers e firmò un contratto con Hal Roach nel 1939. Debuttò nel film The Housekeeper’s Daughter e ottenne notorietà con One Million B.C. (1940). Fu prestato a RKO per No, No, Nanette e recitò in Captain Caution. Nel 1941 interpretò Randy Curtis nel musical Lady in the Dark a Broadway. Successivamente firmò con 20th Century Fox e recitò in I Wake Up Screaming, The Shanghai Gesture e Song of the Islands. Durante la Seconda Guerra Mondiale si arruolò nella Guardia Costiera degli Stati Uniti e servì a bordo della USCGC Storis. Dopo la guerra, tornò al cinema con My Darling Clementine (1946), Kiss of Death (1947), Fury at Furnace Creek (1948) e Cry of the City (1948). 



    Nel 1949 interpretò Samson in Samson and Delilah di Cecil B. DeMille, film che incassò oltre 12 milioni di dollari. Recitò in Million Dollar Mermaid (1952), The Robe (1953), Demetrius and the Gladiators (1954), The Egyptian (1954) e Chief Crazy Horse (1955). Firmò contratti con Columbia Pictures, United Artists e Warwick Productions, partecipando a Safari, Zarak, The Sharkfighters, Interpol, The Long Haul, China Doll, Escort West, Timbuktu, The Big Circus e The Bandit of Zhobe. Interpretò Annibale in Hannibal (1959) e Oleg in The Tartars (1962). Si ritirò nel 1966, tornando brevemente per After the Fox (1966), Head (1968), Every Little Crook and Nanny (1972), Won Ton Ton (1976) e Firepower (1979). L’ultima apparizione fu nel film TV Samson and Delilah (1984). Si sposò cinque volte e ebbe una figlia, Victoria, nata nel 1975. Morì il 4 agosto 1999 a Rancho Santa Fe, California, per leucemia, e fu sepolto a Louisville. Ha una stella sulla Hollywood Walk of Fame.




martedì 4 novembre 2025

QUANDO PIAZZA NAVONA VENIVA TRASFORMATA IN UN LAGO

 

    Ogni estate, per oltre due secoli, Piazza Navona si trasformava in un vero e proprio lago artificiale, offrendo uno spettacolo unico nel cuore di Roma. A partire dal 1652, sotto il pontificato di papa Innocenzo X Pamphilj, nacque l’usanza di allagare Piazza Navona durante i fine settimana di agosto. L’idea era tanto scenografica quanto ingegnosa: venivano chiusi i chiavicotti e le condutture delle fontane, in particolare quelle della Fontana del Moro e del Nettuno, permettendo all’acqua di fuoriuscire e invadere la parte concava della piazza. In sole due ore, l’intera area si trasformava in un lago effimero, profondo circa 50 centimetri, sufficiente per creare un ambiente acquatico festoso e rinfrescante. Questo spettacolo urbano, noto come “il lago di Piazza Navona”, divenne una tradizione amata sia dai nobili che dal popolo. I patrizi vi partecipavano con carrozze trasformate in barche, pesci o creature marine, mentre i popolani si tuffavano nell’acqua, giocavano e si rinfrescavano dal caldo torrido dell’estate romana. 



    Le carrozze sfilavano sull’acqua tra risate, spruzzi e musiche, in un’atmosfera che mescolava mondanità e folklore. La piazza, costruita sull’antico Stadio di Domiziano, aveva una conformazione concava che favoriva l’allagamento. Solo dopo il 1870, con la nuova pavimentazione convessa, questa pratica fu definitivamente abbandonata. Il lago non era solo un divertimento, ma anche un simbolo di potere e magnificenza papale, una scenografia urbana che celebrava la Roma barocca. Il pittore Giovanni Paolo Panini immortalò questi momenti nel celebre quadro “Giochi d’acqua in Piazza Navona”, testimoniando l’estro e la vivacità dell’epoca. Il fenomeno attirava anche visitatori stranieri, stupiti da una città capace di trasformare una piazza in un acquapark ante litteram. Oggi, il ricordo del lago vive nei racconti, nei dipinti e nelle cronache storiche, come quelle di Giuseppe Baracconi, che descriveva con precisione le tecniche di allagamento e l’entusiasmo del popolo romano.



ISA MIRANDA (1905-1982)

 

    Isa Miranda, nome d’arte di Ines Isabella Sampietro, nacque a Milano nel 1905 da una famiglia contadina. Fin da giovane mostrò un carattere ribelle e anticonformista, lavorando prima in un opificio a Treviglio e poi come dattilografa a Milano, dove studiò recitazione all’Accademia dei Filodrammatici. Esordì nel cinema nel 1933, ma il successo arrivò con La signora di tutti (1934) di Max Ophüls, dove interpretò una donna fatale che distrugge gli uomini che la amano. Il film fu un trionfo e la rese celebre in Europa. Recitò in Passaporto rosso (1935) e accettò un contratto in Germania, dove girò film in doppia versione, tra cui Il diario di una donna amata (1936). Partecipò a Il fu Mattia Pascal (1937) e a Scipione l’Africano, primo kolossal di Cinecittà. Invitata a Berlino da Goebbels, fuggì a Lugano e poi a Parigi, dove interpretò Nina Petrovna, ottenendo grande successo. Chiamata a Hollywood, fu accolta con entusiasmo dalla Paramount, ma un incidente e contrasti con Alla Nazimova le fecero perdere il ruolo in Zazà, affidato a Claudette Colbert. 



    Esordì negli USA con Hotel Imperial (1939), ricevendo buone critiche ma scarso successo commerciale. Tornò in Italia nel 1939, ma il regime fascista ostacolò la sua carriera, accusandola di diserzione. Solo dopo un incontro con Mussolini superò le difficoltà. Il marito Alfredo Guarini la diresse in vari film, ma fu con Malombra (1942) e Zazà (1944) che riconquistò pubblico e critica. Nel 1945 fu coinvolta in un grave incidente stradale. Nel 1949 vinse il Prix d’interprétation féminine a Cannes per Le mura di Malapaga. Recitò in La ronde (1950) di Ophüls e in altri film italiani e internazionali. Negli anni ’50 si dedicò anche al teatro, lavorando in Francia, USA e Inghilterra. Si trasferì a Londra nel 1959, partecipando a produzioni televisive. L’ultimo ruolo importante fu nel film Il portiere di notte (1974) di Liliana Cavani. Dopo la morte del marito nel 1981, apparve per l’ultima volta nel film Apocalisse di un terremoto (1982). Morì a Roma l’8 luglio 1982 e fu sepolta al cimitero Flaminio. Fu protagonista di un documentario Rai nel 1983 e pubblicò poesie e un’autobiografia.




LOUIS ANTOINE DE BOUGAINVILLE (1729-1811)

 

    Louis-Antoine de Bougainville nacque a Parigi nel 1729 da una famiglia borghese. Studiò matematica e diritto, pubblicando un trattato sul calcolo infinitesimale che gli valse l’ammissione alla Royal Society di Londra. Entrò nell’esercito francese e fu inviato in Canada durante la guerra dei sette anni, dove servì come aiutante di campo del generale Montcalm, partecipando a importanti battaglie come quella di Québec. Dopo la sconfitta francese, tornò in Europa e ricevette l’incarico di fondare una colonia nelle isole Malvine, che dovette poi cedere alla Spagna nel 1767. Determinato a riscattarsi, organizzò la prima circumnavigazione del globo da parte di una spedizione francese, salpando nel 1766 con la fregata La Boudeuse e la flûte L’Étoile. Il viaggio durò circa tre anni e toccò il Brasile, la Patagonia, lo stretto di Magellano, Tahiti, le Samoa, le Vanuatu, le Louisiade, Batavia e il Capo di Buona Speranza. 



    A bordo vi erano scienziati e naturalisti, tra cui Philibert Commerson e Jeanne Barret, che si travestì da uomo per partecipare alla spedizione, diventando la prima donna a compiere il giro del mondo. Bougainville descrisse Tahiti come un paradiso naturale, contribuendo alla diffusione del mito del “buon selvaggio” caro all’illuminismo. Il suo resoconto di viaggio, pubblicato nel 1771, ebbe grande successo e influenzò filosofi come Rousseau e Diderot. Partecipò poi alla guerra d’indipendenza americana al comando di navi da guerra, distinguendosi nella battaglia della baia di Chesapeake. Durante la Rivoluzione francese fu arrestato ma liberato dopo la caduta di Robespierre. Con l’Impero napoleonico fu nominato senatore, conte e membro dell’Accademia delle Scienze. Morì nel 1811 e fu sepolto al Panthéon. A lui sono dedicati numerosi luoghi, monumenti e la pianta bougainvillea. Il suo contributo alla geografia e alla conoscenza dell’Oceania fu fondamentale.




lunedì 3 novembre 2025

850° ANNIVERSARIO FONDAZIONE UNIVERSITA' DI MODENA E REGGIO

 

    Il francobollo dedicato agli 850 anni dell’Università di Modena e Reggio Emilia, emesso il 14 ottobre 2025, celebra un traguardo storico con un’emissione filatelica ricca di dettagli tecnici e simbolici. Appartenente alla serie tematica “Le eccellenze del patrimonio culturale italiano”, il francobollo è stato emesso dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy in collaborazione con Poste Italiane e stampato dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. La vignetta, ideata da Tiziana Trinca, riproduce il Gonfalone dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, raffigurante San Geminiano a cavallo nell’atto di benedire, incorniciato da una quadrilobata gotica. Sullo sfondo si distingue una struttura merlata che richiama il castello estense trecentesco di Modena, simbolo della tradizione e della storia cittadina. Il francobollo è stampato in rotocalcografia su carta bianca, patinata neutra, autoadesiva con imbiancante ottico. Ha un valore di tariffa B pari a 1,30 euro, valido per la posta ordinaria nazionale. La tiratura è di 200.025 esemplari, distribuiti in fogli da 45 unità. L’annullo speciale primo giorno è disponibile presso l’ufficio postale di Modena Centro. L’emissione è accompagnata da un bollettino illustrativo a cura del Rettore dell’Ateneo, che ne sottolinea il significato culturale e accademico. 



    La celebrazione degli 850 anni dell’Università di Modena e Reggio Emilia rappresenta un omaggio alla lunga tradizione accademica dell’Emilia. Lo Studium mutinensis, fondato nel 1175 dal Comune di Modena, è tra i più antichi d’Italia e d’Europa. Nato per formare giuristi e notai, ha attraversato secoli di trasformazioni, guerre e riforme, mantenendo un ruolo centrale nella vita culturale e scientifica del territorio. L’unione con il polo reggiano ha consolidato l’identità dell’Università come centro di eccellenza multidisciplinare. Oggi UNIMORE è un ateneo moderno, con oltre 20.000 studenti, 14 dipartimenti e una forte vocazione internazionale. L’emissione filatelica non solo celebra la storia dell’istituzione, ma ne valorizza il contributo alla formazione, alla ricerca e all’innovazione. Il francobollo diventa così un veicolo di memoria e orgoglio, un simbolo tangibile della continuità tra passato e futuro, tra tradizione e progresso.



STORIA DI KLAGENFURT AM WORTSEE

 

    Klagenfurt am Wörthersee, situata nel cuore della Carinzia, ha una storia ricca e stratificata che risale alla fine dell’XI secolo, quando fu fondata dai duchi di Carinzia per proteggere le rotte commerciali che attraversavano la regione. La prima menzione ufficiale della città appare in un documento come Forum Chlagenvurth, segno della sua precoce importanza strategica. Tuttavia, la sua posizione iniziale non era ottimale dal punto di vista difensivo, e nel 1246 il duca Bernard di Spanheim decise di rifondarla in un luogo più sicuro. Nel 1252, Klagenfurt ottenne i diritti civili, segnando l’inizio di una fase di crescita urbana e istituzionale. La leggenda del drago, simbolo della città, narra di una creatura che viveva in una palude e terrorizzava gli abitanti fino a quando tre giovani coraggiosi riuscirono a ucciderla. La città sarebbe sorta proprio sul luogo della sua morte, e ancora oggi il drago campeggia nello stemma cittadino e nella fontana centrale. Nel periodo medievale e rinascimentale, Klagenfurt fu colpita da incendi e terremoti, ma la sua resilienza le permise di prosperare, anche grazie alla nobiltà locale che vi costruì numerose ville e palazzi. 



    Un momento cruciale nella sua storia fu il passaggio alla corona austriaca nel 1518, quando l’imperatore Massimiliano I la cedette ufficialmente, elevandola a centro amministrativo e commerciale della regione. Durante il periodo barocco, la città si arricchì culturalmente e architettonicamente, con edifici come il Palazzo Landhaus, celebre per la sala degli stemmi affrescata da Josef Ferdinand Fromiller. Nel 1809, le truppe napoleoniche abbatterono le mura cittadine, segnando una svolta urbanistica. Con l’arrivo della ferrovia nel 1863, Klagenfurt divenne il fulcro economico della Carinzia, favorendo lo sviluppo industriale e commerciale. Dopo la Prima Guerra Mondiale, la città fu brevemente occupata dalla Jugoslavia, ma l’occupazione terminò nel 1919. Durante la Seconda Guerra Mondiale, Klagenfurt seguì le sorti dell’Austria, subendo danni ma riuscendo a ricostruirsi. Nel 1910 fu inaugurato lo Stadttheater Klagenfurt, che ancora oggi rappresenta un importante centro culturale. Oggi, Klagenfurt am Wörthersee è una città alpina che unisce storia, cultura e natura, con un’identità forte legata alle sue origini, alla leggenda del drago e alla sua architettura di ispirazione italiana.




MA NAPOLONE ERA DAVVERO BASSO ?

 

    No, Napoleone non era basso: la sua altezza era nella media per l’epoca. La convinzione che Napoleone Bonaparte fosse di bassa statura è uno dei miti più radicati nella cultura popolare, ma si tratta di una distorsione storica alimentata da propaganda e incomprensioni. Secondo i registri dell’autopsia effettuata dopo la sua morte, Napoleone misurava 5 piedi e 2 pollici secondo il sistema francese dell’epoca, che corrisponde a circa 169 centimetri. Questo dato, se confrontato con l’altezza media dei francesi all’inizio del XIX secolo, che si aggirava intorno ai 164 centimetri, dimostra che Napoleone era perfettamente nella norma, se non leggermente più alto. Il fraintendimento nasce in parte dalla confusione tra il sistema di misura francese e quello britannico. In Inghilterra, 5 piedi e 2 pollici corrispondono a circa 157 centimetri, e molti storici anglosassoni dell’epoca interpretarono erroneamente i dati francesi, contribuendo alla diffusione dell’idea che l’imperatore fosse particolarmente basso. Un altro fattore determinante fu la propaganda politica. Durante le guerre napoleoniche, la Gran Bretagna cercò di ridicolizzare il nemico francese, e uno dei mezzi più efficaci fu la caricatura. Il celebre vignettista inglese James Gillray, ad esempio, rappresentò Napoleone come un uomo minuscolo e irascibile, ispirandosi ai “viaggi di Gulliver” per accentuare il contrasto tra la sua ambizione smisurata e la sua presunta piccolezza fisica. 



    Queste immagini satiriche circolarono ampiamente in Europa, consolidando un’immagine distorta che ha resistito nei secoli. Anche il soprannome “Piccolo Caporale”, che Napoleone ricevette durante la campagna d’Italia, contribuì a rafforzare l’idea di una statura ridotta. Tuttavia, questo appellativo non si riferiva alla sua altezza, ma era un termine affettuoso usato dai suoi soldati per sottolineare la sua vicinanza al popolo e la sua umiltà nei ranghi militari. Il mito della bassa statura ha avuto conseguenze culturali durature, tanto da generare il cosiddetto “complesso di Napoleone”, una teoria psicologica secondo cui gli uomini di bassa statura sarebbero più ambiziosi e aggressivi per compensare la loro condizione fisica. Ma questa teoria si basa su una premessa errata: Napoleone non era basso. La sua figura, imponente per carisma e capacità strategica, ha dominato l’Europa per anni, e la sua altezza reale non ha mai rappresentato un limite. Anzi, il fatto che sia stato percepito come “piccolo” ha probabilmente rafforzato il mito della sua grandezza, in un curioso paradosso storico. In conclusione, Napoleone Bonaparte era alto quanto la media dei suoi contemporanei, e la leggenda della sua bassa statura è il frutto di errori di traduzione, propaganda ostile e stereotipi culturali che nulla hanno a che vedere con la realtà storica.



domenica 2 novembre 2025

ANN MILLER (1923-2004)

 

    Ann Miller, nata Johnnie Lucille Collier nel 1923 a Houston, fu una celebre attrice e ballerina americana, nota per i musical hollywoodiani degli anni '40 e '50. Fin da bambina, fu avviata alla danza per curare il rachitismo e si rivelò un prodigio. Dopo il divorzio dei genitori, si trasferì a Los Angeles con la madre, che era sorda e faticava a trovare lavoro. Miller, che sembrava più grande della sua età, iniziò a esibirsi nei nightclub per mantenere la famiglia, adottando il nome d’arte Ann Miller. A 13 anni fu assunta come showgirl al Bal Tabarin, mentendo sull’età. Scoperta da Lucille Ball e Benny Rubin, ottenne un contratto con RKO Pictures, dove recitò in piccoli ruoli fino al successo in “Stage Door” (1937) con Ginger Rogers. Seguì “You Can’t Take It with You” di Frank Capra (1938), dove interpretò Essie Carmichael. Dopo il passaggio a Columbia Pictures, fu protagonista di numerosi musical di serie B tra il 1941 e il 1945. Nel 1948 entrò alla MGM, dove recitò in “Easter Parade” con Fred Astaire e Judy Garland, “On the Town” (1949) e “Kiss Me Kate” (1953). 



    Era famosa per la velocità nel tip tap, si diceva arrivasse a 500 battiti al minuto. Inventò anche i collant per risolvere il problema delle calze strappate durante le riprese. Negli anni ’60, con il declino dei musical, si dedicò al teatro e alla televisione. Nel 1969 tornò a Broadway con “Mame” e nel 1979 fu protagonista di “Sugar Babies” con Mickey Rooney, ottenendo una nomination ai Tony Awards. Continuò a esibirsi in tournée e apparve in spot pubblicitari e programmi TV. Pubblicò due libri: un’autobiografia e un testo sulle esperienze psichiche. Nel 2001 recitò nel suo ultimo film, “Mulholland Drive” di David Lynch. Fu sposata tre volte e subì violenze domestiche, perdendo una figlia appena nata. Morì nel 2004 a Los Angeles per un tumore ai polmoni. È sepolta accanto alla figlia al Holy Cross Cemetery. Ricevette una stella sulla Hollywood Walk of Fame e le sue scarpe da tip tap sono esposte allo Smithsonian. Fu celebrata come icona del cinema e della danza americana.



STORIA DI ACIREALE (SICILIA)

 

    Acireale, città siciliana in provincia di Catania, affonda le sue origini nel mito di Aci e Galatea e nella misteriosa città greca di Xiphonia. In epoca romana sorse Akis, coinvolta nelle guerre puniche. Durante il Medioevo, il borgo si consolidò attorno al castello di Aci Castello, assumendo nomi diversi sotto bizantini, arabi e normanni. Il terremoto del 1169 disperse la popolazione, favorendo la nascita di Aquilia Nuova, nucleo dell’attuale città. Nel XVI secolo, Acireale si affrancò dal vassallaggio grazie a Carlo V e si sviluppò economicamente e religiosamente. Il campanile sud della Cattedrale fu elevato nel 1554 e nel 1558 la chiesa dell’Annunziata divenne parrocchia. Nel 1571 fu definito lo stemma cittadino, e nel 1577 una rivolta contro le milizie spagnole costò 17 impiccagioni. Nel 1582, l’incursione del corsaro Luccialì fu respinta dalla popolazione. Il XVII secolo vide la nascita di altri casali autonomi e la costruzione di fortificazioni come la Torre di Sant’Anna e il Bastione del Tocco. Nel 1642 Filippo III conferì alla città lo status di demaniale. Nel 1671 fu fondata l’Accademia degli Zelanti. 



    Durante la guerra franco-spagnola, Acireale si schierò con gli spagnoli, fortificando il territorio. Il terremoto del 1693 causò gravi danni e 739 vittime, ma la città si ricostruì rapidamente. Nel XVIII secolo, Acireale si distinse per eventi culturali e religiosi, come la fondazione dell’Accademia dei Geniali e la costruzione della Carrozza del Senato. Nel XIX secolo, Ferdinando III visitò la città, che divenne capoluogo di distretto. Furono inaugurati il corso Savoia, la Villa Belvedere e l’Ospedale Santa Marta. La città partecipò ai moti rivoluzionari del 1848 e fu tra le prime a innalzare il tricolore nel 1860. Nel 1872 fu istituita la diocesi e nel 1873 lo stabilimento termale di Santa Venera, che rese Acireale meta turistica. Nel XX secolo, la città fu colpita da terremoti, epidemie e bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale. Dopo il conflitto, si svilupparono attività culturali e artistiche, culminate con la promozione in Serie B della squadra di calcio nel 1993 e l’istituzione della Riserva Naturale La Timpa nel 1984.




SIBILLA ALERAMO (1876-1960)

 

    Sibilla Aleramo, pseudonimo di Marta Felicina Faccio, nacque ad Alessandria nel 1876. Cresciuta in una famiglia borghese, visse un’infanzia segnata dal trasferimento a Civitanova Marche e dalla malattia mentale della madre, culminata nel suo ricovero e morte. A quindici anni fu vittima di violenza da parte di un impiegato della fabbrica paterna, che fu costretta a sposare. La sua vita coniugale fu oppressiva, e trovò sollievo temporaneo nella maternità. Iniziò a scrivere articoli su riviste letterarie e femministe, impegnandosi attivamente nel movimento per l’emancipazione femminile. Collaborò con intellettuali come Maria Montessori, Giovanni Cena e Anna Kuliscioff, e fu direttrice del settimanale socialista “L’Italia femminile”. Nel 1902 lasciò marito e figlio per trasferirsi a Milano, dove iniziò una relazione con Cena e scrisse il romanzo autobiografico “Una donna”, pubblicato nel 1906, che racconta la sua esperienza personale e la lotta per l’autonomia femminile. 



    Il libro ebbe grande successo internazionale. Continuò l’attività femminista, promuovendo scuole serali per contadini e contadine, ma si distaccò dal movimento, ritenendolo superato. Ebbe relazioni sentimentali con figure come Lina Poletti, Dino Campana, Vincenzo Cardarelli, Giovanni Papini e Salvatore Quasimodo. La relazione con Campana fu particolarmente tormentata. Negli anni ’20 e ’30 pubblicò poesie e prose, tra cui “Momenti”, “Endimione” e “Amo dunque sono”. Dopo una fase di opposizione al fascismo, nel 1929 fu ammessa all’Accademia d’Italia e aderì a un’associazione fascista, ma nel 1943 rifiutò di trasferirsi a Salò. Dopo la guerra si iscrisse al PCI e collaborò con “l’Unità”. Morì a Roma nel 1960. Ebbe tre incontri con il figlio Walter, il primo nel 1933, l’ultimo sul letto di morte. Le sue carte sono conservate presso la Fondazione Gramsci e altri archivi. A lei sono dedicate strade, biblioteche e istituti scolastici in varie città italiane.




mercoledì 29 ottobre 2025

CENTENARIO DELL'INTELLIGENCE ITALIANA

 

    Il francobollo italiano emesso nel 2025 per celebrare il Centenario dell’Intelligence Italiana è un’emissione commemorativa di grande valore simbolico e tecnico. Appartenente alla serie tematica “Le eccellenze del sistema produttivo e del Made in Italy”, è stato emesso il 13 ottobre dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy in collaborazione con Poste Italiane. Il valore facciale è pari alla tariffa B, ovvero 1,30 euro. La tiratura è limitata a 200.025 esemplari, distribuiti in fogli da 45 unità. La stampa è stata realizzata dall’Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato S.p.A. con tecnica rotocalcografica su carta bianca patinata neutra, autoadesiva e arricchita da imbiancante ottico. Il bozzetto è stato curato dall’Agenzia Informazioni e Sicurezza Esterna (AISE) e ottimizzato dal Centro Filatelico dell’Officina Carte Valori. La vignetta mostra in trasparenza lo stemma storico del SISMI, il Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare, sovrapposto ai loghi degli attuali organismi del Comparto Intelligence. Il design è sobrio ma ricco di significati, con elementi grafici che evocano riservatezza, analisi e protezione dello Stato. La confezione filatelica include anche un bollettino illustrativo con testi esplicativi redatti da rappresentanti istituzionali, che approfondiscono il ruolo dell’intelligence nella storia repubblicana. 



    Il francobollo commemora i cento anni dalla fondazione del primo Servizio di Intelligence nazionale, il SIM (Servizio Informazioni Militare), istituito nel 1925 con regio decreto per unificare le strutture informative di Esercito, Marina e Aeronautica. Questo atto segnò l’inizio di un sistema coordinato di raccolta e analisi delle informazioni a tutela della sicurezza dello Stato. Nel corso del secolo, l’intelligence italiana ha attraversato fasi cruciali: dalla guerra fredda alla lotta contro il terrorismo, fino alla riforma del 2007 con la legge n. 124, che ha istituito il Sistema di informazione per la sicurezza della Repubblica. L’emissione del francobollo non è solo un tributo istituzionale, ma anche un riconoscimento pubblico al lavoro silenzioso e strategico svolto da uomini e donne dell’intelligence. La cerimonia di presentazione ha visto la partecipazione di autorità civili e militari, con interventi che hanno sottolineato l’importanza della cultura della sicurezza e della trasparenza. Il francobollo diventa così un veicolo di memoria e di educazione civica, un piccolo oggetto che racchiude un secolo di storia nazionale e di impegno per la difesa democratica.



ETTORE MAJORANA (1906-?)

 

    Ettore Majorana fu un fisico teorico italiano nato il 5 agosto 1906 a Catania. Dotato di straordinario talento matematico, iniziò gli studi in ingegneria nel 1923, ma nel 1928 passò alla fisica su consiglio di Emilio Segrè. Entrò nel gruppo di Enrico Fermi a Roma, noto come “i ragazzi di via Panisperna”, contribuendo in modo significativo alla fisica teorica. La sua prima pubblicazione, scritta da studente, riguardava la spettroscopia atomica e applicava il modello statistico di Fermi alla struttura atomica. Nel 1931 fu il primo a descrivere il fenomeno dell’autoionizzazione, e nel 1932 pubblicò un lavoro sulla spettroscopia a radiofrequenza, anticipando sviluppi fondamentali in fisica atomica. Nello stesso anno elaborò una teoria relativistica per particelle con momento intrinseco arbitrario, introducendo rappresentazioni infinite del gruppo di Lorentz. Sebbene molti suoi articoli fossero scritti in italiano e trascurati per decenni, contenevano intuizioni rivoluzionarie. Fu il primo a interpretare correttamente gli esperimenti di Joliot-Curie come prova dell’esistenza del neutrone, ma non pubblicò le sue conclusioni, lasciando a James Chadwick il merito della scoperta. Nel 1933 si trasferì a Lipsia per lavorare con Werner Heisenberg, con cui instaurò un rapporto di stima e amicizia. Lavorò anche a Copenaghen con Niels Bohr. Tornato in Italia, divenne sempre più isolato, affetto da gastrite e da esaurimento nervoso. Tra il 1934 e il 1937 pubblicò poco, ma scrisse numerosi appunti su geofisica, ingegneria elettrica, matematica e relatività, conservati oggi alla Domus Galileiana di Pisa. 



    Il suo ultimo articolo, del 1937, propose una teoria simmetrica degli elettroni e positroni, ipotizzando l’esistenza di particelle che sono il proprio antiparticella: i fermioni di Majorana. Questa idea è oggi centrale nella fisica delle particelle e nella ricerca sulla materia oscura.Nel 1938 fu nominato professore ordinario di fisica teorica all’Università di Napoli, senza concorso, per “alta fama di singolare competenza”. Il 25 marzo dello stesso anno scomparve misteriosamente dopo aver acquistato un biglietto da Palermo a Napoli. Scrisse una lettera al direttore dell’Istituto di Fisica, Antonio Carrelli, annunciando una decisione inevitabile, seguita da un telegramma che annullava il viaggio. Non fu mai più visto. Le ipotesi sulla sua scomparsa includono suicidio, fuga in Sud America, ritiro in un monastero, o volontà di sottrarsi alle implicazioni etiche della fisica nucleare. Nel 2015 la Procura di Roma dichiarò che Majorana visse tra il 1955 e il 1959 a Valencia, in Venezuela. Nel 2025, il tribunale civile di Roma ha ufficialmente dichiarato la sua morte presunta, fissandola alla data della scomparsa. Il suo genio è celebrato con il Premio Majorana e con conferenze internazionali, e la sua figura resta avvolta nel mistero, simbolo di genialità e inquietudine scientifica.






IGNAZ PHILIPP SEMMELWEIS (1818-1865)

 

    Ignaz Semmelweis fu un medico ungherese nato il 1º luglio 1818 a Buda, nell’Impero austro-ungarico, oggi Budapest. È considerato il pioniere delle pratiche antisettiche e noto come il “salvatore delle madri” per aver introdotto l’igiene delle mani negli ospedali. Dopo aver studiato legge e poi medicina all’Università di Vienna, si specializzò in ostetricia e nel 1846 fu nominato assistente alla Prima Clinica Ostetrica dell’Ospedale Generale di Vienna. Qui notò che la mortalità per febbre puerperale era molto più alta tra le pazienti visitate dai medici rispetto a quelle assistite dalle ostetriche. Dopo la morte di un collega per setticemia, Semmelweis intuì che la causa era la contaminazione da particelle cadaveriche trasmesse dalle mani dei medici che eseguivano autopsie prima di visitare le pazienti. Introdusse il lavaggio delle mani con soluzione di calce clorata, riducendo drasticamente la mortalità dal 18% a meno del 2%. Tuttavia, le sue scoperte furono respinte dalla comunità medica, che non accettava l’idea che i medici potessero essere veicolo di infezione. 



    Semmelweis non riuscì a fornire una spiegazione teorica, poiché la teoria dei germi non era ancora accettata. Fu osteggiato, licenziato e costretto a tornare a Budapest, dove continuò a promuovere le sue pratiche con successo, ma senza ottenere riconoscimento. Nel 1861 pubblicò il suo principale lavoro, “L’eziologia, il concetto e la profilassi della febbre puerperale”, ma fu ignorato. Frustrato e isolato, iniziò a scrivere lettere accusatorie ai colleghi, e nel 1865 fu internato in un manicomio, dove morì due settimane dopo per setticemia, probabilmente causata da una ferita infetta. Solo dopo la sua morte, grazie agli studi di Pasteur e Lister, le sue intuizioni furono riconosciute. Oggi Semmelweis è celebrato come un eroe della medicina moderna, e il suo nome è associato al principio della prevenzione attraverso l’igiene.




martedì 28 ottobre 2025

NINO FARINA (1906-1966)

 

    Giuseppe “Nino” Farina, nato a Torino nel 1906, fu il primo campione del mondo di Formula 1 nel 1950, anno in cui vinse anche il primo Gran Premio della storia a Silverstone, partendo dalla pole e segnando il giro più veloce. Laureato in Scienze Politiche, proveniva da una famiglia legata all’automobilismo: il padre Giovanni fondò gli Stabilimenti Farina, mentre lo zio era Battista “Pinin” Farina. Esordì nelle corse nel 1925, ma fu nel 1936 che Enzo Ferrari lo volle nella sua scuderia, dove ottenne importanti risultati come il secondo posto alla Mille Miglia. Inizialmente noto per uno stile di guida aggressivo, fu Tazio Nuvolari a insegnargli la disciplina necessaria per diventare un campione. Nel 1937 vinse il Gran Premio di Napoli e nel 1938 fu secondo al Gran Premio d’Italia. Dopo la guerra, tornò alle corse vincendo nel 1946 il Gran Premio delle Nazioni. Nel 1948 trionfò a Monaco e al Circuito del Garda, ottenendo anche la prima vittoria in assoluto per la Ferrari. 



    Nel 1950, con l’Alfa Romeo 158, vinse tre dei sei Gran Premi disputati, conquistando il titolo mondiale con 30 punti. Continuò a correre fino al 1955 con Alfa Romeo e Ferrari, ottenendo altre vittorie e podi, ma senza replicare il successo del 1950. Fu coinvolto in incidenti tragici, come quello al Gran Premio d’Argentina del 1953, dove morirono dieci spettatori. Partecipò anche a gare endurance come la 1000 km del Nürburgring e la 24 Ore di Spa, vincendo in coppia con Ascari. Tentò la 500 Miglia di Indianapolis nel 1956 e 1957, ma senza qualificarsi. Fu noto anche per il suo stile di vita eccentrico, come l’abitudine di correre con un sigaro in bocca. Morì nel 1966 in un incidente stradale nei pressi di Aiguebelle, in Francia, mentre si recava al Gran Premio di Francia. È sepolto al Cimitero Monumentale di Torino. Farina rimane una figura leggendaria per essere stato il primo a conquistare il titolo mondiale nella storia della Formula 1.




ISO ISETTA (1953-1962)

 

    L’Iso Isetta è una microvettura prodotta dalla Iso di Bresso tra il 1953 e il 1956 e successivamente dalla BMW su licenza fino al 1962. Fu progettata da Ermenegildo Preti e Pierluigi Raggi con l’obiettivo di creare un’auto compatta, confortevole e razionale. Il primo prototipo, realizzato nel 1952, presentava una carrozzeria a forma d’uovo, un portellone frontale incernierato e una meccanica derivata da motocicli. Inizialmente dotata di tre ruote, si passò a quattro con le posteriori ravvicinate per evitare l’uso del differenziale. Il motore era un monocilindrico a due tempi da 198 cm³, poi portato a 236 cm³ con 9,5 CV. La vettura definitiva fu presentata nel 1953 al Salone di Torino, suscitando stupore per il design simile a una cabina di elicottero. L’accesso avveniva tramite il portellone frontale solidale al piantone dello sterzo, facilitando l’ingresso. L’abitacolo ospitava due persone su una panchetta, con il motore e un piccolo vano bagagli dietro. La vetratura ampia garantiva ottima visibilità, e il tetto in tela era apribile. 



    La meccanica includeva un telaio tubolare, sospensioni anteriori indipendenti con tamponi in gomma, posteriori a balestra, freni idraulici e trazione posteriore. Nonostante la partecipazione alla Mille Miglia, le vendite in Italia furono scarse, forse per il prezzo vicino a quello della Fiat Topolino. Nel 1954, BMW acquisì la licenza e presentò la BMW 250 nel 1955, con motore monocilindrico a quattro tempi da 245 cm³ e 12 CV. La versione tedesca introdusse modifiche al telaio, sospensioni e impianto frenante. Nel 1956 arrivò la BMW 300 con motore da 297 cm³ e 13 CV. Le versioni Export, più rifinite, sostituirono le Standard nel 1957. Con l’avvento della BMW 600 e 700, le vendite dell’Isetta calarono, ma continuarono fino al 1962. L’Isetta fu prodotta anche in Brasile (Romi) e Francia (VELAM), con varianti pick-up e cabriolet. Negli USA, fu adattata con fari maggiorati e protezioni contro gli agenti atmosferici. Nel 2023, la Microlino, quadriciclo elettrico italiano, ha ripreso il design dell’Isetta.




ANCHE IL LEONE DI SAN MARCO A VENEZIA E' CINESE !

 

    Simbolo di Venezia da oltre 750 anni, il celebre leone che si erge sulla colonna in Piazza San Marco sarebbe in realtà di provenienza cinese. Lo rivelano le accurate analisi che un team diretto da Massimo Vidale, dell'Università di Padova, ha eseguito sul bronzo che compone la statua. Le tracce di piombo presenti nel manufatto indicano infatti che la materia prima usata per forgiare il leone proviene dalla regione del Fiume Azzurro, ricchissima di minerali utilizzati da millenni dagli scultori e dagli artigiani cinesi. 



    Inoltre, certe caratteristiche della statua, come la criniera e le orecchie a punta, richiamano quelle degli zhènmushòu, i guardiani delle tombe che venivano posti a protezione dei sepolcri dei nobili e dei re, durante la dinastia Tang (618-907 d.C.). Sulla Via della seta. Secondo lo studio, pubblicato sulla rivista Antiquity, il leone di San Marco fu portato in Italia, lungo l'antica Via della seta, da Niccolò e Maffeo Polo, rispettivamente padre e zio del più celebre Marco, che avevano visitato Pechino e la corte mongola fra il 1264 e il 1266.



lunedì 27 ottobre 2025

DECENNALE DEL CODEX PURPUREUS ROSSANENSIS NEL PATRIMONIO UNESCO

 

    Il francobollo italiano emesso il 9 ottobre 2025 in occasione della Giornata Mondiale della Posta celebra il Codex Purpureus Rossanensis, uno dei più antichi e preziosi manoscritti miniati del Nuovo Testamento. L’emissione rientra nella serie tematica “Le eccellenze del patrimonio culturale italiano” ed è stata promossa dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy. Il francobollo ha valore tariffario “B” e una tiratura limitata di 204.000 esemplari. Il bozzetto, curato dal Centro Filatelico di Poste Italiane, riproduce la celebre Tavola dei Canoni delle Concordanze con i ritratti dei quattro evangelisti, considerata il frontespizio originario del manoscritto. La vignetta è incorniciata dalla legenda “CODEX PURPUREUS ROSSANENSIS”, dalla scritta “ITALIA” e dall’indicazione tariffaria. Il francobollo è stampato in rotocalcografia su carta bianca patinata autoadesiva, con formato rettangolare e bordo dentellato. Sul retro è presente un codice a barre identificativo, posizionato in alto a destra, che ne certifica l’autenticità e ne facilita la catalogazione. Il foglio di emissione contiene venticinque esemplari, accompagnati da una scheda illustrativa che ne descrive il significato culturale e tecnico. 



    L’iniziativa ha incluso anche una cerimonia ufficiale presso il Museo Diocesano e del Codex di Corigliano-Rossano, dove il manoscritto è conservato. Il Codex Purpureus Rossanensis è un evangelario greco del VI secolo, scritto in onciale su pergamena tinta di porpora, con testi in oro e argento. È composto da 188 fogli e contiene i Vangeli di Matteo e Marco, con miniature di straordinaria bellezza e valore teologico. Il manoscritto è stato riconosciuto nel 2015 come patrimonio dell’umanità dall’UNESCO, entrando nella lista “Memory of the World”. La sua importanza risiede non solo nella rarità del supporto e nella qualità artistica, ma anche nel suo ruolo di testimonianza della diffusione del cristianesimo nel Mediterraneo orientale. Il francobollo del 2025 celebra il decennale di questo riconoscimento, sottolineando il valore universale del Codex come ponte tra culture, epoche e linguaggi. L’emissione filatelica diventa così veicolo di memoria, bellezza e identità, rendendo omaggio a un capolavoro che ha attraversato i secoli per giungere fino a noi. 



SAVOIA MARCHETTI S 55 (1923-1945)

 

    Il Savoia-Marchetti S.55 fu un idrovolante bimotore a doppio scafo progettato da Alessandro Marchetti e prodotto dall’azienda italiana Savoia-Marchetti a partire dal 1923. Caratterizzato da una configurazione innovativa con motori contrapposti, uno traente e uno spingente, montati su una struttura sopra le ali, il velivolo evitava problemi di imbardata e dissimmetria di spinta. La struttura a doppio scafo, realizzata con una cellula galleggiante, garantiva stabilità anche in condizioni critiche. Inizialmente respinto dalla commissione dell’Aviazione per la sua audacia progettuale, fu successivamente rivalutato e adottato dalla Regia Aeronautica. Entrato in servizio nel 1926, fu impiegato in missioni di bombardamento, ricognizione e salvataggio, distinguendosi per le sue prestazioni: velocità massima di 282 km/h, autonomia di 4500 km e tangenza di 5000 metri. Armato con quattro mitragliatrici Lewis da 7,7 mm e fino a 1000 kg di bombe o un siluro, fu protagonista di celebri trasvolate oceaniche. Tra queste, il volo del “Santa Maria” nelle Americhe con Francesco De Pinedo, Carlo Del Prete e Vitale Zacchetti, e la Crociera del Decennale del 1933, con 24 S.55X in formazione da Orbetello a Chicago, guidata da Italo Balbo. 



    Le versioni prodotte includevano il S.55 originale, il S.55A per la crociera Italia-Brasile, il S.55C civile per Aero Espresso Italiana, il S.55M con parti metalliche, il S.55P con scafo allargato per 10 passeggeri, e le varianti con scafo allargato e allargatissimo. La versione S.55X, dedicata al decennale della Regia Aeronautica, montava motori Isotta Fraschini Asso 750 da 930 CV, eliche tripala metalliche a passo variabile, radiatori aerodinamici e strumentazione avanzata, tra cui girodirezionale Sperry, sestante Salmoiraghi e radiogoniometro Telefunken. Utilizzato anche dalla Romania e da compagnie civili italiane e sovietiche, l’unico esemplare superstite è il “Jahù”, versione C, esposto al Museu TAM di São Carlos, in Brasile, protagonista della trasvolata del Sud Atlantico nel 1927. Il S.55 rappresenta un’icona dell’ingegneria aeronautica italiana tra le due guerre mondiali.