Tra Sciacca e Pantelleria, nel canale di Sicilia, giace un banco vulcanico emerso nel luglio 1831 a seguito di un’imponente eruzione sottomarina. In pochi giorni un cono tronco-conico alto fino a 65 metri e dal perimetro di circa quattro chilometri quadrati si innalzò da 6,9 metri sotto il livello del mare, formando l’effimera Isola Ferdinandea. Composta soprattutto da tefrite, materiale friabile e soggetto all’erosione marina, ospitava due laghetti sulfurei in ebollizione e uno pseudotorrente di cratere, unico accenno di idrografia. La rapida azione delle onde la sommorse definitivamente nel gennaio 1832, ma non prima di scatenare una curiosa disputa internazionale. Gli Inglesi, di stanza con l’ammiraglia di Sir Percival Otham, la battezzarono Graham Island; i Francesi, con il brigantino La Flèche e il geologo Constant Prévost, la ribattezzarono Île Julia; il Regno delle Due Sicilie inviò il capitano Corrao per piantarvi la bandiera borbonica e dedicarla a Ferdinando II.
Tra studi di Gemmellaro, Smyth e Davy, corrispondenze a governi e piantumazioni di targhe commemorative, l’evento fu raccontato da dipinti, lettere e relazioni scientifiche. Fugaci riaffioramenti si verificarono nel 1846 e nel 1863, mentre nel 1968 e nel 2002 anomalie sismiche e termali sollevarono il sospetto di una nuova emersione, mai confermata. In epoca recente subacquei hanno collocato un tricolore per evitare rivendicazioni e, tra il 2006 e il 2007, un sensore di pressione è stato installato e recuperato per il monitoraggio dell’attività del cono secondario Empedocle. Campagne ISPRA e OGS fino al 2019 hanno mappato nove crateri monogenici e individuato sei edifici sottomarini, battezzati con nomi di nereidi e oceanine. L’Isola Ferdinandea resta oggi un simbolo della mutevolezza del confine tra terra e mare e un laboratorio per lo studio dei vulcani mediterranei.