mercoledì 10 settembre 2025

ALMA BENNETT (1904-1958)


    Alma Bennett nacque Alma Long a Seattle il 9 aprile 1904 e crebbe tra le vie di San Francisco, dove il fervore del teatro locale e degli studi fotografici temprò in lei l’aspirazione a recitare. Debuttò sullo schermo già nel 1915, ma fu nel 1919, con il dramma His Master’s Voice e The Right to Happiness, che iniziò a farsi notare per la sua presenza trasparente e al contempo carismatica. La sua bellezza bruna e il portamento aggraziato la resero perfetta per i ruoli di vamp sofisticata e per le eroine dei western che spopolavano negli anni del muto. Tra il 1921 e il 1927 prese parte a oltre sessanta pellicole, collaborando con maestri come Cecil B. DeMille in The Affairs of Anatol (1921) e con John Ford in The Face on the Bar-Room Floor (1923) e Tre salti in avanti (Three Jumps Ahead, 1923). Nel fantasy pionieristico Il mondo perduto (The Lost World, 1925) regalò al pubblico un’immagine di donna audace all’interno di un kolossal che fece storia. In Orchids and Ermine (1927), al fianco di Colleen Moore, mise in luce una sorprendente versatilità comica. 



    La sua recitazione, quieta ma penetrante, si fondava su un controllo magistrale del linguaggio del corpo e su sguardi capaci di suggerire drammi interiori senza parole. Il passaggio al cinema sonoro coincise con un progressivo ritiro: dopo un paio di parti minori alla fine degli anni Venti, si spense la luce dei riflettori. Nel privato sposò nel 1924 il pubblicitario Fred Bennett, da cui divorziò un anno dopo, e nel 1929 scelse come compagno di vita il suo manager Harry Spingler, che le rimase accanto fino alla sua morte nel 1953. Ultimo marito fu l’attore Blackie Whiteford, sposato nel 1954. Alma Bennett si spense a Los Angeles il 16 settembre 1958, a soli 54 anni, per una polmonite. Morì nell’ombra, senza funerali pubblici né necrologi solennemente diffusi, ma lasciò un’impronta indelebile nel cinema muto grazie a ruoli che combinavano grazia, tensione emotiva e un’eleganza senza tempo. La sua filmografia, straordinariamente ricca per un’epoca in cui la carriera di molte colleghe era fugace, continua a essere studiata dagli appassionati come un esempio fulgido di interprete capace di trasmettere interi mondi interiori con un solo sguardo.